Vent’anni fa moriva Andrés Escobar, assassinato per un autogol

L'autogol di Andrès Escobar

«Grazie per l’autogol». Un’ultima accusa prima dell’agguato, culminato con dodici – fatali – colpi di pistola. Il 2 luglio di venti anni fa, all’uscita di un locale di Medellin, perdeva tragicamente la vita Andrés Escobar Saldarriaga, difensore dell’Atletico Nacional e della Nazionale colombiana. Ventisette anni e una carriera agonistica in forte ascesa, il calciatore venne ritenuto colpevole dell’eliminazione della Colombia dai Mondiali del 1994 disputatisi negli Stati Uniti e per questo assassinato una volta rientrato in patria. Tutta colpa di un autogol nella partita decisiva contro i padroni di casa, che contribuì a sancire l’esclusione della Nazionale sudamericana dalla Coppa del Mondo.

Dopo aver perso la prima partita del girone eliminatorio contro la Romania, per proseguire il cammino nel Mondiale la Colombia non aveva altro risultato possibile che la vittoria. Un successo contro gli Stati Uniti sembrava alla portata dei Cafeteros, ma così non fu e il dramma – fino a quel momento solo sportivo – cominciò a compiersi al minuto 35 del primo tempo quando Escobar infilò la propria porta deviando in maniera maldestra (e del tutto sfortunata) un cross a centro area di un avversario, prima di rimanere a lungo disteso per terra, incredulo. Nel secondo tempo la Colombia subì anche il raddoppio statunitense e a nulla valsero né il gol della bandiera siglato al novantesimo da Valencia, né tantomeno la vittoria sulla Svizzera nel turno successivo. La Colombia chiuse il proprio girone in ultima posizione, rinunciando anzitempo a qualsiasi sogno di gloria.

Portare un cognome tanto pesante non deve essere semplice per un colombiano. Neanche se sei uno sportivo famoso. Troppo ingombrante l’ombra di un altro Escobar, Pablo, criminale e re del narcotraffico, capo dell’impero della droga a cavallo tra gli anni ’80 e ’90. Il riferimento non è per nulla casuale, perché droga e calcio in Colombia hanno spesso viaggiato sugli stessi binari, mossi da interessi comuni prevalentemente legati agli enormi giri d’affari. Non è un mistero che negli anni ottanta i principali cartelli della droga colombiani fossero coinvolti nella proprietà delle squadre più importanti del Paese. Si trattava del cosiddetto narcofútbol del quale ovviamente faceva parte anche il cartello di Medellin, comandato da Pablo Escobar, che aveva contribuito alle fortune calcistiche della squadra della città; proprio quell’Atletico Nacional nel quale militava Andrés Escobar e che nel 1989 arrivò addirittura a disputare una finale di Coppa Intercontinentale, persa contro il Milan. L’intreccio tra calcio e narcotraffico in Colombia subì dei cambiamenti in seguito all’uccisione di Pablo Escobar, avvenuta nel dicembre del 1993, con il cartello di Cali pronto a prendere in mano un controllo via via maggiore. Così come le decisioni, spesso sfociate in macabra violenza.

L’omicidio di Andrés Escobar, uno dei migliori difensori del Paese, soprannominato El Caballero per quel modo elegante di giocare, ne è forse uno degli episodi più assurdi. Un pretesto per imporre la propria supremazia nei confronti dei rivali, Andrés Escobarmostrando senza alcuna remora il limite fino a cui si è disposti a spingersi. Stando alle cronache del tempo, Andrés Escobar venne “sacrificato” su decisione di un clan di scommettitori (legati presumibilmente al cartello di Cali) che aveva puntato ingenti somme di denaro sulla qualificazione della Colombia agli ottavi del Mondiale. Circa un anno dopo l’agguato, Humberto Munoz Castro, guardia del corpo di due esponenti del gruppo dei PEPES, coinvolti in diversi traffici illegali e in lotta con il cartello di Medellin, venne condannato a quarantatré anni e cinque mesi di reclusione per essere stato riconosciuto come responsabile dell’omicidio di Escobar ma venne scarcerato nel 2005 per buona condotta.

A distanza di vent’anni non sono ancora del tutto chiare le cause di quel terribile quanto inspiegabile omicidio. Certo è che quell’episodio segnò il declino del narcofùtbol, lasciando il posto ad un movimento, quello calcistico colombiano, più pulito e meno ricco. Di denaro, ma non di talento. La Nazionale colombiana è infatti una delle rivelazioni del Mondiale 2014 e proverà a confermare quanto di buono fatto vedere finora da James Rodriguez e compagni nella sfida più ostica contro i padroni di casa del Brasile, super favoriti per la vittoria finale. La Colombia giocherà inoltre per onorare la memoria di Andrés Escobar, con la speranza che il suo sacrificio non venga dimenticato e che un autogol non sia mai più causa di violenze.

Gabriele Rossetti

Solar Impulse, impresa dell’aereo che viaggia ad energia solare

solar impulseÈ atterrato con tre ore d’anticipo rispetto alla tabella di marcia per colpa di uno strappo all’ala sinistra, ma quanto realizzato ha comunque un valore inestimabile che profuma di impresa. E poco importa se non ha potuto sorvolare la Statua della Libertà in segno celebrativo. Stiamo parlando di Solar Impulse, l’aereo a propulsione solare che nella serata di sabato 6 luglio è atterrato sulla pista dell’aeroporto JFK di New York compiendo qualcosa di unico, impensabile sino a poco tempo fa. Per la prima volta un aeroplano è stato infatti in grado di attraversare gli Stati Uniti coast to coast, viaggiando anche di notte, solamente grazie all’alimentazione dell’energia solare e senza nemmeno una goccia di carburante.

Un’impresa che parte da molto lontano e prende forma nel 2003, anno della progettazione del velivolo ultraleggero costruito in Svizzera presso il Politecnico Federale di Losanna. Solar Impulse è dotato di quattro motori a elica alimentati da batterie caricate da 12 mila cellule solari, pesa poco più di un’utilitaria (circa 1,6 tonnellate) e si presenta con un’apertura alare di 64 metri (pari a quella di un Airbus 340). Fautori del progetto Bertrand Piccard e Andre Borschberg i quali si sono alternati al comando dell’eco-aereo. L’ultimo viaggio della missione con destinazione New York è toccato a Borschberg che ha pilotato – in maniera impeccabile, a giudicare dal risultato finale – il velivolo dovendo affrontare un guasto inatteso e per questo ancor più difficile da gestire.

Il viaggio di Solar Impulse è cominciato il 3 maggio quando l’aereo ha lasciato il Moffet Air Field della Nasa per fare tappa a Phoenix, Dallas, St. Louis e Washington, città dalla quale è partito l’ultimo volo durato 18 ore e 23 minuti. Complessivamente il velivolo è stato in aria 105 ore 41 minuti percorrendo 5.600 chilometri ad una velocità media di 28,8 nodi. «Volare coast to coast è sempre stata un’impresa mitica – ha spiegato Piccard -. Abbiamo spinto i confini delle energie pulite e rinnovabili a livelli senza precedenti».

Nonostante lo strappo di oltre due metri all’ala sinistra che ha seriamente rischiato di far saltare la riuscita della missione, la fase sperimentale si è chiusa positivamente (scongiurata l’ipotesi di un atterraggio di emergenza) fornendo all’equipe di Solar Impulse informazioni utili per la prossima sfida – se possibile ancora più azzarda – che prevede il giro del mondo nel 2015.

Gabriele Rossetti