La burocrazia italiana vista come una minaccia per Pompei, più dell’eruzione del Vesuvio che nel 79 D.C. portò alla sua distruzione. L’accusa, per nulla velata, arriva niente meno che dalle colonne del New York Times che mette in guardia i propri lettori circa il degrado e il declino di uno dei siti archeologici più visitati al mondo.
«Pompei è sopravvissuta agli scavi iniziati nel XVIII secolo e stoicamente sopporta l’usura di milioni di turisti. Ma ora – si legge nell’articolo -, gli affreschi, le mura e gli eleganti mosaici sono esposti al rischio di una minaccia ancora più grande: la burocrazia dello Stato italiano». Un attacco durissimo quello del quotidiano newyorkese. Un allarme che vuole in realtà essere una denuncia verso le incurie che negli ultimi anni hanno abbandonato Pompei al proprio destino e che invece necessiterebbe solamente di un restauro urgente. I crolli più recenti – come quello della Domus dei Gladiatori nel 2010 – hanno fornito al mondo intero uno spettacolo indecoroso, degno di un Paese incivile e totalmente incapace di tutelare un patrimonio artistico e culturale che ogni anno attira oltre 2,3 milioni di turisti.
I problemi di fondo sono però altri come la mancanza di pianificazione strategica e la riduzione di personale che non garantiscono una corretta gestione del sito archeologico. Lo scorso febbraio l’Unione europea e il governo italiano hanno stanziato circa 105 milioni di euro per un programma di aiuti a sostegno di Pompei ma il rischio più grande – neanche a dirlo – è rappresentato dalle infiltrazioni mafiose nei lavori di ristrutturazione. La camorra è ora il nemico da combattere e arginare per proteggere la città e le sue aree più a rischio. Le Forze dell’Ordine hanno già arrestato il capo di una società di costruzioni, accusato di gonfiare i costi, ed altri controlli sono stati effettuati per scongiurare la presenza di appalti truccati in uno dei territori con la più alta concentrazione di criminalità organizzata d’Italia e d’Europa.
Le vicissitudini di Pompei si perpetuano purtroppo da decenni senza che le istituzioni abbiano mai saputo porvi rimedio in alcun modo. Nel 1956 le strutture di Pompei aperte al pubblico erano 64, oggi sono solamente cinque. Basterebbe questo dato a rendere più evidente lo scempio.
Gabriele Rossetti
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