“Better out than in”, la street art di Banksy sui muri di New York

banksy-new-yorkSi chiama “Better out than in” (Meglio fuori che dentro) ed è l’ultimo, originalissimo, progetto dell’esponente di spicco della street art mondiale. Parliamo ovviamente di Banksy, il misterioso writer inglese che da qualche giorno è sbarcato a New York per esprimere e condividere ancora una volta tutto il proprio talento. Non una semplice toccata e fuga; la tappa dell’artista di Bristol nella Grande Mela durerà almeno tutto il mese di ottobre, durante il quale realizzerà quotidianamente i suoi lavori sui muri della città. New York si trasformerà dunque in una galleria d’arte a cielo aperto, pronta ad ospitare una “mostra a puntate” quanto mai insolita.

Qualsiasi opera realizzata al chiuso, in uno studio, non sarà mai superiore ad una realizzata all’esterno. [Paul Cézanne]

Non sarà una mostra a tutti gli effetti ma poco ci manca perché l’artista, la cui identità è tuttora ignota, ha voluto corredare ogni opera con tanto di audio guida, proprio come se fosse ospitata in un qualsiasi museo. Accanto ad ogni lavoro è infatti dipinto un numero di telefono che una volta composto rimanda alle spiegazioni e alle curiosità relative alla realizzazione dell’opera in questione. Il progetto è stato presentato dallo stesso artista sul proprio sito internet (banksy.co.uk) e viene costantemente aggiornato, garantendo a chiunque non abbia la fortuna di trovarsi a New York di poter ammirare i murales realizzati e di ascoltare online l’audio guida. È inoltre possibile seguire il percorso dell’artista sui principali social network attraverso l’hashtag #banksyny.

banksy_ny1Il primo lavoro, intitolato “The street is in play”, è stato realizzato martedì 1 ottobre ad Allen Street, Chinatown, e ritrae due ragazzini che si aiutano, uno sulla schiena dell’altro, per raggiungere una bomboletta spray posta all’interno di un cartello che riporta la scritta «I graffiti sono un crimine». Stando alle cronache recenti il murales sarebbe stato danneggiato dopo appena un giorno e ricoperto con una mano di vernice bianca e la scritta «Sweaty palms made me lose the love of my life».

banksy_nyLa seconda opera è invece comparsa su una serranda nel Westside ed altro non è che una frase: «This is my New York accent» che rimanda al carattere di scrittura che contraddistingue la maggior parte dei graffiti sparsi sui muri delle città, non soltanto di quelle americane. A completamento dell’opera un’altra frase «… normally I write like this», scritta con un font decisamente più asciutto, composto ed elegante. Insomma, un lavoro irriverente in puro stile Banksy.

banksy_ny2Il “percorso espositivo” dell’artista britannico prosegue a Midtown dove in data 3 ottobre è stato realizzato l’ultimo – solo per il momento – lavoro che raffigura un cane con la zampa posteriore alzata, intento ad espletare i propri bisogni contro un idrante. Il tocco di genio di Banksy sta principalmente nel pensiero attribuito all’idrante circa il suo (istantaneo) rapporto di “completezza” con l’animale.

Fortunatamente ottobre è appena cominciato e ci sarà quasi un mese di tempo per seguire l’ambizioso progetto di Banksy per le strade di New York ed assistere ad altri capolavori unici. Impossibile non appassionarsi.

Gabriele Rossetti

Solar Impulse, impresa dell’aereo che viaggia ad energia solare

solar impulseÈ atterrato con tre ore d’anticipo rispetto alla tabella di marcia per colpa di uno strappo all’ala sinistra, ma quanto realizzato ha comunque un valore inestimabile che profuma di impresa. E poco importa se non ha potuto sorvolare la Statua della Libertà in segno celebrativo. Stiamo parlando di Solar Impulse, l’aereo a propulsione solare che nella serata di sabato 6 luglio è atterrato sulla pista dell’aeroporto JFK di New York compiendo qualcosa di unico, impensabile sino a poco tempo fa. Per la prima volta un aeroplano è stato infatti in grado di attraversare gli Stati Uniti coast to coast, viaggiando anche di notte, solamente grazie all’alimentazione dell’energia solare e senza nemmeno una goccia di carburante.

Un’impresa che parte da molto lontano e prende forma nel 2003, anno della progettazione del velivolo ultraleggero costruito in Svizzera presso il Politecnico Federale di Losanna. Solar Impulse è dotato di quattro motori a elica alimentati da batterie caricate da 12 mila cellule solari, pesa poco più di un’utilitaria (circa 1,6 tonnellate) e si presenta con un’apertura alare di 64 metri (pari a quella di un Airbus 340). Fautori del progetto Bertrand Piccard e Andre Borschberg i quali si sono alternati al comando dell’eco-aereo. L’ultimo viaggio della missione con destinazione New York è toccato a Borschberg che ha pilotato – in maniera impeccabile, a giudicare dal risultato finale – il velivolo dovendo affrontare un guasto inatteso e per questo ancor più difficile da gestire.

Il viaggio di Solar Impulse è cominciato il 3 maggio quando l’aereo ha lasciato il Moffet Air Field della Nasa per fare tappa a Phoenix, Dallas, St. Louis e Washington, città dalla quale è partito l’ultimo volo durato 18 ore e 23 minuti. Complessivamente il velivolo è stato in aria 105 ore 41 minuti percorrendo 5.600 chilometri ad una velocità media di 28,8 nodi. «Volare coast to coast è sempre stata un’impresa mitica – ha spiegato Piccard -. Abbiamo spinto i confini delle energie pulite e rinnovabili a livelli senza precedenti».

Nonostante lo strappo di oltre due metri all’ala sinistra che ha seriamente rischiato di far saltare la riuscita della missione, la fase sperimentale si è chiusa positivamente (scongiurata l’ipotesi di un atterraggio di emergenza) fornendo all’equipe di Solar Impulse informazioni utili per la prossima sfida – se possibile ancora più azzarda – che prevede il giro del mondo nel 2015.

Gabriele Rossetti

Martin Scorsese, mostra biografica al Museo del Cinema di Torino

scorseseRegista, attore, sceneggiatore, produttore cinematografico. Questo e molto altro rappresentano al meglio la figura di Martin Scorsese, uno dei maestri della settima arte, autore di grandi capolavori capaci di mettere d’accordo critica e pubblico. La biografia del cineasta americano, di origini italiane, è protagonista della mostra a lui dedicata che dopo essere stata esposta a Berlino approda nelle sale del Museo Nazionale del Cinema di Torino. Dal 13 giugno e fino al 15 settembre 2013 la Mole Antonelliana ospita veri e propri feticci appartenenti al mondo di Scorsese che gravitano – e non potrebbe essere altrimenti – attorno alla sua principale passione, divenuta lavoro. La passione incondizionata per il cinema che nel 1990 lo ha portato a fondare la Film Foundation, organizzazione non-profit impegnata nel restauro e nella conservazione di pellicole storiche che nel corso degli anni hanno subito danneggiamenti.

Co-prodotta dalla Deutsche Kinemathek e dal Museo Nazionale del Cinema, la mostra ricostruisce la vita di Scorsese attraverso un ricco materiale inedito proveniente direttamente dagli archivi privati dell’artista. Fotografie, lettere private, bozzetti, manifesti, storyboard, frammenti di sceneggiature e oggetti di scena (tra cui i costumi di Gangs of New York, quelli da pugile utilizzati da Robert De Niro in Toro scatenato e il vestito rosso di Michelle Pfeiffer in L’età dell’innocenza), costituiscono la mostra il cui percorso parte dall’Aula del Tempio e si protrae lungo la scalinata che ruota attorno alla cupola della Mole Antonelliana.

Curatrici dell’allestimento torinese Nicoletta Pacini e Tamara Sillo il cui obiettivo è «mettere in evidenza il lavoro di Martin Scorsese, le figure, le location, l’estetica dei suoi film, la passione e la sua umanità di narratore». La mostra comincia già all’esterno dove sulla cancellata del museo campeggiano 14 gigantografie scattate da Brigitte Lacombe sui set di alcuni film, mentre all’interno è suddivisa in aree tematiche che raccontano il legame di Scorsese con la famiglia, la musica ma anche con l’America ed in particolare con New York, a cui è dedicata un’intera sezione. Ad accogliere il visitatore è proprio una mappa luminosa della Grande Mela sulla quale sono collocati tutti i set scelti dal regista per i suoi film.

Non potevano infine mancare i contenuti multimediali grazie ai quali in ogni sezione è possibile vedere e ascoltare, tramite una guida su iPad, la descrizione ed il commento in lingua originale dello stesso Scorsese di 20 opere presenti nella mostra.

Gabriele Rossetti

Velvet Underground e Andy Warhol Foundation: accordo tra le parti

the velvet underground nicoAlla fine si è scelto di non scegliere. Si è concluso con un nulla di fatto il processo che vedeva contrapposti gli ex membri dei Velvet Underground e la Andy Warhol Foundation. Non è stata emessa alcuna sentenza dal momento che le parti hanno raggiunto un accordo di massima. Oggetto della causa, la famosissima banana disegnata dall’artista e regalata al gruppo che nel 1967 la utilizzò per la copertina dell’album di esordio: The Velvet Underground & Nico. Una delle copertine più famose della storia del rock, resa celebre proprio grazie all’inconfondibile tratto del re della Pop Art.

La causa nei confronti della Fondazione intitolata ad Andy Warhol ha inizio nel gennaio 2012 ed è intentata da Lou Reed e John Cale, storici membri della band i quali contestano all’ente – che si occupa di gestire e proteggere i lavori dell’artista – la commercializzazione dell’opera, riprodotta per la realizzazione di cover per iPhone e iPad. Nonostante il disegno di Warhol non sia protetto da copyright i due fondatori dei Velvet Underground chiedono la sospensione della diffusione e depositano una richiesta di ingiunzione presso la Corte Federale di Manhattan. Secondo Reed e Cale la banana è sinonimo di Velvet Underground e pertanto non può essere (ri)utilizzata nemmeno dalla fondazione che porta il nome dell’artista, scomparso nel 1987.

Il contenzioso tra le due parti si protrae a lungo in tribunale. La Fondazione esclude con fermezza l’accusa di violazione del copyright ritenendola inoltre infondata perché – oltretutto – la band non è più in attività da quarant’anni. Anche il giudice sembra in un primo momento accogliere questa linea difensiva fino al colpo di scena che coincide con la chiusura del caso risalente a pochi giorni fa, che vede le due parti mettersi d’accordo mediante un documento definito “confidenziale” (e chissà quanto denaro in ballo…), risparmiando così alla Corte Federale di New York la fatica di pronunciarsi per l’una o per l’altra.

Gabriele Rossetti

“The Neighbors”, gli scatti rubati di Arne Svenson ai vicini di casa. Polemiche su violazione privacy

Arne Svenson - The NeighborsSpesso quando si parla di fotografia la linea tra lecito e illecito è molto sottile. Viviamo in un’epoca in cui tutto viene documentato ad una velocità impressionante e capita sovente di avere la sensazione di trovarsi all’interno di un Truman Show. Devono essersi sentiti così i vicini di casa di Arne Svenson che dalla finestra del suo appartamento sito in Watt Strett a Manhattan, New York, ha immortalato alcuni attimi della loro vita quotidiana. L’obiettivo della macchina fotografica dell’artista ha varcato silenziosamente la soglia delle loro finestre al fine di creare scatti rubati utilizzati per comporre una mostra, intitolata appunto “The Neighbors“: i vicini.

Un ragazzo che riposa sul divano, una donna chinata mentre pulisce il pavimento, un cane intento a guardare fuori dalla “sua” abitazione. Svenson ha studiato per giorni le abitudini del vicinato e solo in un secondo momento ha selezionato le migliori fotografie, attualmente in esposizione presso la Julie Saul Gallery nel quartiere di Chelsea dove vengono vendute a 7.500 dollari l’una. In poco tempo la mostra ha però sollevato un polverone polemico proprio nel momento in cui gli ignari (fino a quel momento) vicini ne sono venuti a conoscenza.

A scatenare la rabbia dei soggetti immortalati nelle fotografie la presunta violazione della privacy, in particolare quella dei bambini ritratti da Svenson. Presunta, sì, perché dal punto di vista penale l’artista non rischia nulla in quanto i visi (non soltanto dei bambini) non vengono in alcun modo mostrati. Un’accortezza che fortifica il lavoro di Svenson il quale ha dichiarato di non voler chiudere anzitempo la mostra. «Per i miei soggetti non c’è privacy – ha commentato il fotografo -: io sono come gli osservatori di uccelli, che aspettano ore per poter cogliere un segno di vita. Queste persone recitano sul palcoscenico che hanno scelto, lasciando aperte le tende».

Un pensiero del tutto opinabile che però lo rende immune da qualsiasi azione legale nei suoi confronti. Qualora lo vorranno le vittime degli scatti rubati dall’artista potranno avviare una causa civile ma sin da ora farebbero bene quantomeno a tirare le tende, per preservare quel minimo di diritto alla privacy che ancora gli è rimasto.

Gabriele Rossetti

Keith Haring in mostra a Parigi: la “linea politica” di un visionario

-Può piacere o meno, di certo il lavoro di Keith Haring non può proprio passare inosservato. Un artista immenso, un autentico visionario che a ventitré anni dalla sua scomparsa è ancora apprezzato in tutto il mondo. E proprio in questi giorni viene celebrato a Parigi con una retrospettiva curata in ogni minimo dettaglio che mette in evidenza la natura politica e sociale espressa nel lavoro dell’artista americano. “The political line” è il titolo della mostra, in esposizione dal 19 aprile al 18 agosto 2013 nella cornice di due location distinte della capitale francese: il Museo d’arte moderna e il Centro culturale internazionale “CentQuatre”. Due ampi spazi nei quali verranno ospitate circa 250 opere di uno degli esponenti più attivi e singolari della pop art e della street art.

Dipinti, sculture, t-shirt, disegni e graffiti che riempivano gli spazi della metropolitana newyorkese; questo e molto altro attende i visitatori della mostra che, come detto, è incentrata sulla linea politica di Haring il quale attraverso la sua arte ha provato – ed in parte è anche riuscito – ad influenzare l’opinione pubblica. I suoi capolavori fanno parte della storia dell’arte moderna così come le sue battaglie contro razzismo, omofobia, emancipazione, droga e AIDS (che gli costò la vita), lo hanno reso una vera e propria icona nella difesa dei diritti umani.

La mostra ripercorre le tappe del lavoro artistico di Haring e raccoglie tanto le prime opere in bianco e nero quanto quelle dai colori più vivaci, divenute un culto negli anni Ottanta e ampiamente riconoscibili anche da occhi poco esperti. Nonostante la prematura scomparsa, in poco più di dieci anni di attività Keith Haring ha saputo dare un segno indelebile ai suoi lavori. Uno stile unico e inimitabile che gli ha consentito di entrare – di diritto – nel novero dei grandi artisti del XX secolo.

Gabriele Rossetti

 

La Cedrata Tassoni alla scoperta dell’America: lanciata sul mercato

cedrata tassoniChissà se anche gli americani troveranno un minuto per lei. Sì, perché da qualche settimana la Cedrata Tassoni è andata alla scoperta degli Stati Uniti dove proverà ad affrontare – per la prima volta fuori dai confini nazionali – il mercato estero. La celebre bevanda a base di cedro è stata presentata negli States alla fiera New England Food Show 2013 tenutasi nel mese di marzo a Boston e al momento viene distribuita solamente in Massachusetts e nello Stato di New York, dove è disponibile presso lo store di Eataly a Manhattan.

L’obiettivo è ovviamente aumentare la distribuzione ed estenderla ad altri Stati, di pari passo con l’eventuale gradimento del pubblico e le vendite. Una sfida coraggiosa per l’azienda di Salò (Brescia) mossa dalla volontà di confrontarsi con una cultura differente e un nuovo target al quale proporsi e proporre un prodotto della tradizione italiana. La Cedral Tassoni nasce come spezieria e viene riconosciuta come farmacia nel 1793 prima di divenire l’attuale azienda alimentare che tutti, in Italia, conosciamo. Inserendosi nel mercato americano dei soft drinks la cedrata cercherà di conquistare consensi provando a superare la concorrenza di numerose bevande analcoliche che negli Stati Uniti hanno un notevole successo in termini di vendite.

La Cedral Tassoni cercherà di esportare in America non soltanto il fiore all’occhiello della sua produzione, bensì anche quel “made in Italy” di cui da tempo sembra che (purtroppo) si stiano perdendo le tracce. Attraverso la vendita delle sue bibite l’azienda bresciana vuole raccontare una storia tutta italiana che metta in risalto la qualità del lavoro e l’anima dei prodotti, realizzati con elementi naturali.

E allora chissà se tutto questo basterà a conquistare il nuovo pubblico e se anche gli americani troveranno un minuto per lei…

Gabriele Rossetti

 

“Caro Federico”, l’omaggio teatrale di New York al maestro Fellini

federico felliniUn viaggio attraverso la vita privata e il lavoro di uno dei più straordinari maestri del cinema italiano e non solo. Si presenta così “Caro Federico“, l’omaggio che New York ha voluto tributare a Federico Fellini mettendo in scena una piece teatrale per ripercorrere le strade del grande regista riminese, conosciuto in tutto il mondo per le doti dietro la macchina da presa e per la scrittura delle sceneggiature dalle quali sono nati film memorabili.

L’autore di “8½”, “La dolce vita” e “Amarcord” – giusto per citarne alcuni – è stato ricordato sul palcoscenico del Pershing Square Signature Center di New York attraverso un collage di immagini, ricostruzioni, filmati, spezzoni originali dei suoi film e testimonianze dirette dell’epoca di chi ha avuto la fortuna di conoscerlo da vicino: dalla moglie Giulietta Masina ad Alberto Sordi, da Anna Magnani a Marcello Mastroianni. Ad impreziosire il racconto del percorso artistico del quattro volte premio Oscar, le voci narranti di due grandi attori quali Edward Norton e Diane Lane, la quale in un’intervista ha detto che Fellini «è come l’infinito».

L’opera teatrale porta la firma di Guido Torlonia e Ludovica Damiani e rientra in un progetto più ampio denominato “A tribute to the great masters” che lo scorso anno ha messo in scena un evento simile dedicato a Luchino Visconti. L’evento è stato invece organizzato dall’associazione no profit Venezian Heritage presieduta da Isabella Rossellini e dalla Fondazione Fendi, con lo scopo di raccogliere fondi per il restauro delle sculture di Adamo ed Eva nel Palazzo del Doge a Venezia. L’associazione fa infatti parte di un programma dell’Unesco per la Salvaguardia di Venezia ed ha come obiettivo la promozione e il sostegno di iniziative intellettuali, artistiche e scambi culturali tra l’Italia e gli Stati Uniti.

Gabriele Rossetti

Google, partito il progetto Art Talks: lezioni e appuntamenti dai musei

google projectLa cultura accessibile a chiunque e a portata di click. Ha preso il via mercoledì 6 marzo il nuovo progetto realizzato da Google dedicato al mondo dell’arte. Art Talks, questo il nome dell’ennesimo esperimento del motore di ricerca che avrà il compito di portare le opere esposte in alcuni dei musei più importanti del mondo sullo schermo di un pc. Grazie alle dirette in Hangout sulle pagine dedicate di Google Plus e YouTube, sarà infatti possibile assistere a vere e proprie lezioni tenute dagli esperti del settore: direttori dei musei, storici e curatori di mostre, fungeranno da guida per tutti gli spettatori online comodamente seduti in poltrona.

Un vero e proprio insegnamento dell’arte 2.0 che ogni mese porterà gli appassionati alla scoperta delle storie che si celano dietro le opere e ai segreti che accompagnano la realizzazione di un evento espositivo. La prima lezione si è tenuta niente meno che dal Moma di New York e ha visto la partecipazione di artisti e studenti.

Il secondo appuntamento con il Google Art Talks è invece fissato per il 20 marzo quando, in diretta dalla National Gallery di Londra, verrà trattato il tema del nudo femminile. Riflettori puntati anche sulla lezione di aprile dalla National Gallery of Art di Washington nella quale verrà esplorata la storia della “Torre di Babele“, celebre opera di Brueghel. Gli appuntamenti dei prossimi mesi saranno trasmessi in diretta dal Metropolitan Museum of Art, dal Museum of Contemporary Art di Los Angeles, dal Museo Nacional de Arte in Messico e dal Museo di arte Islamica in Qatar, mentre non è al momento prevista alcuna lezione da musei italiani.

L’iniziativa fa parte di un progetto più ampio, il Google Art Project, la cui piattaforma consente proprio a tutti di ammirare migliaia di opere d’arte ed effettuare tour virtuali all’interno dei musei nei quali sono ospitate.

Gabriele Rossetti