La Spagna vuole cambiare orario, proposto in Parlamento il ritorno al fuso di Greenwich

gmt Possibile ritorno al passato in Spagna. Tranquilli, non si tratta di alcun esperimento e neppure di una rivisitazione della trilogia di Robert Zemeckis in salsa iberica, bensì di una proposta che, qualora venisse approvata, potrebbe stravolgere drasticamente le abitudini della popolazione riportandole indietro di settant’anni. Una rivoluzione sociale in tutto e per tutto basata solamente sull’orario. Più precisamente sul cambio di orario. Proprio in questi giorni il governo spagnolo si è visto recapitare una proposta ben precisa: lasciare l’attuale fuso e tornare a quello “originario” che si usava fino al 1942.

Nonostante la posizione geografica che la vede collocata nella stessa zona di Portogallo, Irlanda e Regno Unito, in Spagna (fatta eccezione per le Isole Canarie) vige infatti il fuso orario dell’Europa Centrale – il nostro, tanto per intenderci – che consiste nell’avere un’ora in più d’inverno e due ore in più d’estate rispetto a Greenwich. Fu il dittatore Francisco Franco, il 12 maggio 1942, a far adottare al Paese l’attuale fuso orario, a quanto pare per compiacere Adolf Hitler e la sua Germania. Da allora gli spagnoli vivono con un «jet-lag permanente» che non corrisponde al reale e che, nel corso degli anni, ha contribuito a mutare i costumi della società. Non è un caso se la vita sulla penisola iberica risulti essere abbastanza sregolata rispetto a quella degli altri paesi europei. La tipica giornata di uno spagnolo comincia al più presto alle 9 di mattina e si conclude a tarda notte dopo aver consumato pasti a orari per noi “discutibili”, così come lo sono le aperture e le chiusure di negozi e locali.

«La strana organizzazione dell’orario spagnolo, che non ha paragoni con alcun altro Paese, non ha origini geografiche, climatologiche, ma è frutto di una curiosa circostanza storica – si legge nel report presentato in Parlamento -. E a questa anomalia si unisce un’organizzazione del lavoro, singolare pure questa, che è unica rispetto al resto dell’Europa e dell’Occidente». In sostanza i promotori dell’iniziativa chiedono di spostare le lancette dell’orologio indietro di un’ora al fine di regolarizzare le abitudini degli spagnoli circa i pasti e il riposo notturno.

Secondo le stime effettuate il ritorno al fuso orario originale fornirebbe numerosi vantaggi sulla qualità della vita: gli orari dei pasti tornerebbero a coincidere con l’orologio biologico e vi sarebbero meno assenze sul posto di lavoro, un minor numero di incidenti e una maggiore produttività. Inoltre il cambio di fuso consentirebbe alla popolazione di guadagnare circa 90 minuti al giorno per il tempo libero. Forse solamente gli orari della movida non subirebbero alcun cambiamento, ma questa è un’altra storia…

Gabriele Rossetti

Dresda, inaugurato il nuovo ponte che fa perdere alla città lo status di patrimonio dell’UNESCO

walschlössenbrücke dresdaQuel ponte non s’ha da fare. O forse sì. Sono passati quattro anni dal giorno dell’approvazione del progetto sino alla inaugurazione di un’opera controversa che la città di Dresda ha pagato a caro, carissimo prezzo con l’esclusione dalla lista dei patrimoni dell’umanità. Troppo forte la necessità di decongestionare il traffico verso il centro e così, con la costruzione di un attraversamento sul fiume Elba alle porte della città, la capitale della Sassonia ha preferito – per non dire dovuto – rinunciare allo status assegnatole dall’UNESCO nel 2004 e di conseguenza ad un un finanziamento di circa un centinaio di milioni di euro l’anno destinato dal governo tedesco ad ogni sito considerato patrimonio dell’umanità.

L’area su cui è stato realizzato il Waldschlösschenbrücke, situata a circa 200 km a sud di Berlino, non lontano dal confine con la Repubblica Ceca, è considerata una delle più belle della Germania e si estende per circa venti chilometri sulle rive del fiume, comprendendo anche la città ed il favoloso centro storico in stile barocco, ricostruito e conservato con cura dopo i bombardamenti degli Alleati durante la Seconda Guerra Mondiale nel 1945.

Il nuovo ponte a quattro corsie costruito sull’Elba è costato 182 milioni di euro ed è stato inaugurato con una passeggiata pubblica alla quale hanno preso parte numerosi cittadini e turisti che presto lasceranno spazio al traffico veicolare. Il centro città dista 1,6 chilometri, troppo pochi secondo l’UNESCO che sin dal 2009 ha osteggiato il progetto inserendo la “Firenze del Nord” nella lista rossa dei patrimoni dell’umanità in pericolo, salvo poi rimuoverla definitivamente dalla lista World Heritage. È la prima volta che l’ente dell’ONU prende una simile decisione in Europa, mentre già era accaduto con lo stato dell’Oman che aveva ridotto del 90% una riserva naturale popolata da antilopi.

Nel corso degli anni la realizzazione del Waldschlösschenbrücke è divenuta oggetto di manifestazioni, azioni legali e dure prese di posizione da parte degli ambientalisti anche se, attraverso un referendum popolare, il 68 per cento degli abitanti si era dichiarato favorevole.

Gabriele Rossetti

Clichy rilancia i Ro.Ro.Ro., classici della letteratura a basso costo

roth_clichyQuante volte in questi ultimi anni lo abbiamo sentito ripetere: la crisi aguzza l’ingegno. Spesso però non è neanche necessario inventarsi nulla: basta rispolverare dal passato qualche buona intuizione per continuare a perseguire il proprio scopo. Lo scopo, in questo caso, è la vendita di libri in un periodo in cui il calo è sempre più netto e di difficile superamento, soprattutto per l’editoria. E proprio dall’esigenza di tornare a conquistare i lettori nasce l’iniziativa di Edizioni Clichy, casa editrice indipendente fondata a Firenze nel 2012 dalle ceneri di Barbès Editore, che ha pensato di pubblicare grandi romanzi della storia della letteratura a bassissimo costo e in un formato del tutto insolito. La collana proposta dalla casa editrice fiorentina prende spunto dai Ro.Ro.Ro. (abbreviazione di Rowohlt-Rotations-Roman) ovvero dai romanzi stampati in rotativa su carta da giornale che fecero la loro comparsa nel 1946 in Germania.

Lasciate da parte la “struttura classica” dei libri a cui siete abituati e pensate per un momento di leggere un romanzo sfogliando le pagine di un… quotidiano. Il progetto di Edizioni Clichy consiste proprio in questo, cioè nella pubblicazione di veri e propri giornali che al posto degli articoli presentano i capitoli di un intero romanzo letterario. Il tutto acquistabile alla modica cifra di 1 euro. Il progetto della casa editrice prevede inizialmente la pubblicazione di quattro classici della letteratura come Le notti bianche di Fëdor Dostoevskij, Cuore di tenebra di Joseph Conrad, La leggenda del santo bevitore di Joseph Roth e Lo strano caso del Dr. Jeckyll e Mr. Hyde di Robert Louis Stevenson. Quattro titoli che campeggiano nelle librerie di molte case ma che nessuno ha mai posseduto in “formato giornale”.

Come detto l’idea prende spunto dal passato, più precisamente dall’invenzione di Heinrich Maria Ledig-Rowohlt, editore tedesco che nel secondo dopoguerra iniziò a stampare romanzi d’autore in formato leggero ed economico. Nacquero così i sopracitati Ro.Ro.Ro., antenati dei tascabili che venivano venduti al prezzo di 1 marco l’uno rendendo accessibili – praticamente a chiunque – romanzi dai titoli importanti quali Madame Bovary, Morte a Venezia, I demoni e Il potere e la gloria.

L’invenzione di Rowohlt consentì di riscoprire il piacere della lettura (non certo consentita durante il periodo nazista) e segnò un punto di partenza verso la ripresa economica. La stessa strada che molto probabilmente spera di intraprendere anche la casa editrice Clichy i cui romanzi dovrebbero essere distribuiti non soltanto nelle librerie ma anche all’interno di bar e locali. Fortunatamente in contesti storici per certi versi simili, ma ben differenti da quelli dei suoi predecessori.

Gabriele Rossetti

Italia ultima nella classifica europea per le spese destinate alla cultura

colosseoMentre l’Italia affonda letteralmente a causa della inefficienza di una classe politica non soltanto incapace di formare un governo ma anche di eleggere un Presidente della Repubblica, dall’Europa giungono dati statistici che fanno rabbrividire. Secondo uno studio pubblicato da Eurostat l’Italia figura infatti all’ultimo posto nella classifica degli Stati appartenenti all’Unione europea per le spese destinate alla cultura. Ebbene sì, il Paese con il più alto numero di beni artistici del mondo [fonte Unesco] spende appena l’1,1% del suo Prodotto interno lordo – ampiamente al di sotto della media europea, ferma al 2,2% – per il sostentamento del proprio patrimonio culturale. Meno di Estonia e Lettonia (rispettivamente al secondo e terzo posto della classifica) che con tutto il rispetto possono solamente immaginare cosa voglia dire possedere una così alta concentrazione di monumenti, capolavori e beni presenti in un singolo territorio.

Una tragedia ampiamente annunciata che dimostra come l’Italia non sappia sfruttare le risorse a propria disposizione. Chiunque al nostro posto riuscirebbe a trarre giovamento da un simile patrimonio artistico e culturale, rendendolo un volano per lo sviluppo turistico ed economico. Sembra invece che la Pubblica Amministrazione consideri i beni culturali quasi come un “intralcio”, nonostante l’indotto frutti ogni anno circa il 5% della ricchezza totale del Paese dando lavoro a più di 1,5 milioni di persone. Un paradosso tutto italiano al quale nessuno saprà mai dare una spiegazione. Giusto per capirne la gravità basti pensare che – come emerso dalle stime diffuse dal Sipri e dal Fondo monetario internazionale – l’Italia preferisce spendere di più (1,7%) per le armi.

spesa pubblicaIl rapporto dell’istituto europeo di statistica non si esaurisce, però, con le spese dei 27 Stati dell’Ue destinate alla cultura ma analizza anche gli investimenti effettuati da ogni singolo Paese per l’istruzione, ovvero per il futuro. Un disastro anche lì, dove con l’8,5% del proprio Pil – a fronte di una media europea del 10,9% – l’Italia si posiziona al penultimo posto della classifica, appena un gradino sopra la sempre più disastrata Grecia. Dando un’occhiata ad entrambe le classifiche c’è però un altro dato che desta perplessità e riguarda la situazione della Germania. Seppur ampiamente sopra di noi in quanto a investimenti, la quarta potenza economica mondiale, tanto decantata come modello da seguire per uscire dalla crisi economica, figura anch’essa nelle ultime posizioni a livello europeo, dando l’impressione di essere poco incline alla destinazione di denaro pubblico per cultura e scuola.

dati diffusi da Eurostat fanno riferimento al 2011 ma viene difficile ipotizzare che negli ultimi due anni l’Italia abbia saputo invertire il trend. L’unica consolazione è che peggio di così non si possa certo fare. O forse sì?

Gabriele Rossetti