Vhils sceglie Torino per lasciare la sua impronta a colpi di scalpello

vhils torinoGigantografie di volti campeggiano sui muri di alcune città. Visi di persone più o meno note ritratti sulle facciate degli edifici che ad un primo sguardo potrebbero sembrare dipinte. Niente affatto, perché in realtà sono dei veri e propri bassorilievi realizzati a colpi di scalpello. Questo è il marchio di fabbrica del giovane artista portoghese Vhils, al secolo Alexandre Farto, che da qualche anno è riuscito a ritagliarsi un posto di rilievo nel sempre più affollato mondo della street art. Classe 1987, Vhils ha studiato alla University of the Arts di Londra città dalla quale ha cominciato a farsi conoscere. Il talento ha fatto il resto e dalla capitale britannica – dove nel 2008 ha scolpito un volto accanto a un’opera di Banksy – ha spiccato il volo lasciando la sua impronta in giro per il mondo: Lisbona (sua città natale), Parigi, Las Vegas, Rio De Janeiro e, da qualche giorno, Torino. Lo street artist portoghese è infatti sbarcato nel capoluogo sabaudo nell’ambito del progetto NizzArt (organizzato dall’associazione URBE) per il quale ha realizzato una gigantografia sulla facciata laterale di un condominio in Via Nizza, al civico 50.

L’opera d’arte ha richiesto due giorni di lavoro e rappresenta «Una delle tante persone qualunque incontrate e fotografate durante un viaggio in Messico». Dopo aver utilizzato una base di vernice bianca per delineare i lineamenti del viso, Vhils ha preso in mano lo scalpello tratteggiando accuratamente le ombre e le rughe del volto raffigurato. Un lavoro complesso, dispendioso e dal valore inestimabile.

“Scratching the surface”, così è denominata la tecnica utilizzata da Vhils che nel corso della sua (giovane) carriera ha saputo creare un proprio tratto distintivo che gli ha permesso di essere accostato ai più grandi street artist del mondo.

Gabriele Rossetti

“Transformers”, ritratti di musicisti rivoluzionari in mostra alle OGR di Torino

transformersRaccontare attraverso le immagini la forza di trasformazione di ventisei artisti che hanno scritto la storia della musica nella seconda metà del Novecento. Musicisti rivoluzionari che grazie alla loro personalità e al loro carisma hanno saputo conquistare palcoscenici e opinione pubblica cambiando il panorama musicale e non solo. A loro è dedicata la mostra “Transformers. Ritratti di musicisti rivoluzionari” che ha aperto i battenti sabato 28 settembre presso i Cantieri OGR (Officine Grandi Riparazioni) di Torino. Non una semplice mostra, quella organizzata dalla Società Consortile OGR-CRT e curata dal cronista musicale Alberto Campo, ma un vero e proprio “viaggio emotivo” all’interno della storia della musica. L’esposizione è ovviamente incentrata sul tema della trasformazione e non a caso è stata scelta come sede un luogo di trasformazione per antonomasia come i Cantieri OGR, simbolo della Torino postindustriale, oggi centro di sperimentazione e produzione delle discipline contemporanee ma un tempo fabbrica nella quale venivano costruiti e riparati i treni.

Il percorso espositivo è composto da settantotto fotografie (concesse da Getty Images) che ritraggono la vita pubblica e privata di ventisei artisti unici: da Elvis Presley a David Bowie, da Jimi Hendrix ai Doors, da Madonna a Bob Dylan, dai Radiohead ai Daft Punk. Il viaggio della mostra parte dagli anni Cinquanta, con l’avvento della “società di massa”, lasciando che siano le fotografie e le icone immortalate a raccontare il preciso momento storico nel quale si sono affermate. Dagli albori della pop music si passa alla canzone di protesta, alla British Invasion, al riscatto afroamericano e all’epopea degli hippies, senza tralasciare il rock teatrale, il punk, la world music, la rivoluzione elettronica, l’hip hop, la stagione della videomusica, il grunge e la techno, sino ad arrivare ai giorni nostri con la forte influenza del web e delle tecnologie digitali.

Le fotografie principali della mostra ritraggono gli artisti durante gli eventi live ed ogni immagine è corredata da una didascalia e da un apparato fotografico complementare che punta a svelare una dimensione confidenziale del personaggio. L’intento del curatore Alberto Campo è infatti di mostrare gli artisti «sotto due luci differenti»: quella pubblica, ovvero sul palco, nel bel mezzo di una performance, e quella privata, più intima, atta a svelare il lato umano e familiare di ogni protagonista rappresentato.

Gabriele Rossetti

“Il volto del ‘900”, in mostra a Milano i ritratti più celebri del XX secolo

ritratto di dedie Rivivere il XX secolo attraverso i capolavori di artisti dell’epoca che si sono cimentati con il tema della raffigurazione umana, soffermandosi, ognuno con il proprio stile inconfondibile, principalmente sullo studio del viso. Si presenta così “Il volto del ‘900. Da Matisse a Bacon. Capolavori dal centre Pompidou“, l’esposizione allestita a Palazzo Reale di Milano fino al 9 febbraio 2014. La mostra propone oltre ottanta lavori – tra ritratti, autoritratti e sculture – di altrettanti artisti celebri quali Modigliani, Matisse, Bonnard, Picasso e Bacon; opere d’arte mai esposte in Italia perché custodite al Musée National d’Art Moderne Centre Pompidou di Parigi da cui proviene lo stesso curatore della mostra, Jean-Michel Bouhours. «Volevo mostrare le principali tematiche storico-filosofiche sulla rappresentazione del volto nel XX secolo – ha commentato Bouhours presentando la mostra -. Una rappresentazione che è antica come l’arte che mirava, in fondo, a dare un aspetto all’assenza».

Attraverso i capolavori esposti, la mostra intende rappresentare il mutamento negli stili e nei caratteri della ritrattistica avvenuto nel corso del Novecento di pari passo con i continui cambiamenti della società. L’esposizione è divisa in cinque sezioni: si comincia con “Il mistero dell’anima” che presenta opere dalla forte valenza psicologica dando molto risalto alla figura femminile di inizio secolo. Il percorso prosegue con la sezione “Autoritratti”, nella quale emerge in maniera netta la differenza di stili tra i vari artisti (si passa infatti da Magritte a Severini, da Villon a Bacon). Un elemento ben visibile anche nel terzo spazio espositivo intitolato “Faccia e forme” dove, oltre ai dipinti, la figura umana scomposta è rappresentata dai capolavori scultorei di Lipchitz e Mirò. “Caos e disordine” è il penultimo step del percorso, dedicato all’imperfezione della figura umana, ben rappresentata nei lavori di Bacon e Giacometti. La visita si conclude con “Il ritratto dipinto dopo la fotografia”, quinta ed ultima sezione che presenta immagini ad altissimo impatto espressivo.

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Sin dall’antico Egitto il ritratto ha avuto una funzione fondamentale per l’umanità che però ha cessato di esistere quasi totalmente con l’avvento della fotografia. E proprio a seguito di quella eccezionale innovazione gli artisti hanno dovuto esternarsi dalla realtà e provare a “guardare oltre”, costretti ad inventarsi nuovi metodi di rappresentazione, non soltanto della figura umana, con l’obiettivo di fermare il tempo. Perché come dice il curatore della mostra, Jean-Michel Bouhours, «il ritratto è il contrario del tempo, è un tentativo di congiurare contro il tempo».

Gabriele Rossetti

Milano rende omaggio a Guido Crepax a dieci anni dalla scomparsa

valentina-crepaxNel decennale della scomparsa e ad 80 anni dalla nascita di un grande artista quale Guido Crepax, Milano dedica una mostra mai realizzata prima proprio in onore del celebre fumettista. Si comincia giovedì 20 giugno e sarà possibile ammirarne il contenuto fino al 15 settembre 2013 nel meraviglioso scenario delle dieci sale dell’Appartamento di Riserva a Palazzo Reale che, insieme al Comune e all’Archivio Crepax, hanno organizzato, promosso e prodotto l’esposizione. Circa 90 tavole originali ma anche filmati e installazioni video sono state rispolverate dagli archivi e, per l’occasione, messe a disposizione dei visitatori.

Nato nel capoluogo meneghino nel 1933, Guido Crepax ha conosciuto la celebrità in tutto il mondo grazie al personaggio di Valentina, pubblicato per la prima volta nel 1965 sulle pagine della rivista Linus, ma dalla sua matita sono nate altre creature di eguale importanza. Crepax è stato infatti anche un designer pubblicitario, autore di oggetti di grande consumo, illustratore di libri, giornali, copertine di dischi e scenografo di teatro. La personale a lui dedicata vuole ripercorrere non soltanto la brillante carriera bensì il contesto storico durante il quale si è sviluppata, in una Milano che a quei tempi trasudava cultura.

Ognuna delle dieci sale che ospitano la mostra è caratterizzata da un tema, accuratamente scelto per mettere in evidenza i vari interessi e legami dell’artista. Quello con la sua famiglia, con la città di Milano, con Valentina, con il design, la moda, la letteratura, il cinema, la fotografia, la musica e con le illustrazioni di grandi romanzi storici (per esempio di Kafka e Edgar Allan Poe). Stroncato dalla sclerosi multipla nel 2003, l’ultimo lavoro di Crepax risale a un anno prima quando fece un adattamento di Frankestein, tratto dal romanzo di Mary Shelley.

Gabriele Rossetti

Martin Scorsese, mostra biografica al Museo del Cinema di Torino

scorseseRegista, attore, sceneggiatore, produttore cinematografico. Questo e molto altro rappresentano al meglio la figura di Martin Scorsese, uno dei maestri della settima arte, autore di grandi capolavori capaci di mettere d’accordo critica e pubblico. La biografia del cineasta americano, di origini italiane, è protagonista della mostra a lui dedicata che dopo essere stata esposta a Berlino approda nelle sale del Museo Nazionale del Cinema di Torino. Dal 13 giugno e fino al 15 settembre 2013 la Mole Antonelliana ospita veri e propri feticci appartenenti al mondo di Scorsese che gravitano – e non potrebbe essere altrimenti – attorno alla sua principale passione, divenuta lavoro. La passione incondizionata per il cinema che nel 1990 lo ha portato a fondare la Film Foundation, organizzazione non-profit impegnata nel restauro e nella conservazione di pellicole storiche che nel corso degli anni hanno subito danneggiamenti.

Co-prodotta dalla Deutsche Kinemathek e dal Museo Nazionale del Cinema, la mostra ricostruisce la vita di Scorsese attraverso un ricco materiale inedito proveniente direttamente dagli archivi privati dell’artista. Fotografie, lettere private, bozzetti, manifesti, storyboard, frammenti di sceneggiature e oggetti di scena (tra cui i costumi di Gangs of New York, quelli da pugile utilizzati da Robert De Niro in Toro scatenato e il vestito rosso di Michelle Pfeiffer in L’età dell’innocenza), costituiscono la mostra il cui percorso parte dall’Aula del Tempio e si protrae lungo la scalinata che ruota attorno alla cupola della Mole Antonelliana.

Curatrici dell’allestimento torinese Nicoletta Pacini e Tamara Sillo il cui obiettivo è «mettere in evidenza il lavoro di Martin Scorsese, le figure, le location, l’estetica dei suoi film, la passione e la sua umanità di narratore». La mostra comincia già all’esterno dove sulla cancellata del museo campeggiano 14 gigantografie scattate da Brigitte Lacombe sui set di alcuni film, mentre all’interno è suddivisa in aree tematiche che raccontano il legame di Scorsese con la famiglia, la musica ma anche con l’America ed in particolare con New York, a cui è dedicata un’intera sezione. Ad accogliere il visitatore è proprio una mappa luminosa della Grande Mela sulla quale sono collocati tutti i set scelti dal regista per i suoi film.

Non potevano infine mancare i contenuti multimediali grazie ai quali in ogni sezione è possibile vedere e ascoltare, tramite una guida su iPad, la descrizione ed il commento in lingua originale dello stesso Scorsese di 20 opere presenti nella mostra.

Gabriele Rossetti

Edward Lachman, 30 scatti inediti in mostra alla Ono Arte di Bologna

edward lachmanTrenta scatti inediti in Italia per ripercorrere un’intera carriera. Quella di Edward Lachman, 65 anni, uno dei maggiori direttori della fotografia americani. In occasione del Biografilm Festival di Bologna di cui è presidente di giuria, la galleria Ono Arte Contemporanea del capoluogo emiliano gli dedica una mostra fotografica esponendo parte del lavoro che lo ha consacrato nel mondo del cinema. Edward Lachman: Exposure Checks è il titolo dell’esposizione, in programma dal 12 al 27 giugno 2013, interamente composta da fotografie di scena scattate sui set dei film.

Membro della American Society of Cinematographers, Lachman ha infatti curato la fotografia di numerosi film di produzione statunitense. E poco importava che fossero pellicole indipendenti o blockbuster. Collaboratore di Todd Haynes per Lontano dal Paradiso (grazie al quale ha ricevuto una candidatura all’Oscar) e Io non sono qui, di Steven Soderbergh per Erin Brockovich, di Todd Solondz per Perdona e Dimentica e dell’ultimo lavoro di Robert AltmanRadio America, Lachman ha anche collaborato con Sophia Coppola ne Il giardino delle vergini suicide. Inoltre ha preso parte alla realizzazione di documentari diretti da due maestri del cinema come Wim Wenders e Werner Herzog ed ha co-diretto insieme a Larry Clark il film Ken Park, pellicola presentata al Festival di Cannes nel 2002 che fece molto discutere per i suoi contenuti borderline.

Appassionato anche di musica Edward Lachman ha lavorato al fianco di Madonna, Blondie, Lou Reed e, più recentemente, dei Daft Punk, per i quali ha realizzato alcuni video dell’ultimo album Random Access Memories.

Negli stessi giorni della mostra presso la galleria Ono Arte, anche il Biografilm Festival dedica al suo presidente di giuria una retrospettiva dal titolo The Camera and Eye, nella quale verrà presentata anche la trilogia Paradise (Love, Faith, Hope) del regista Ulrich Seidl, per la quale Lachman ha curato – neanche a dirlo – la fotografia.

Gabriele Rossetti

“The Neighbors”, gli scatti rubati di Arne Svenson ai vicini di casa. Polemiche su violazione privacy

Arne Svenson - The NeighborsSpesso quando si parla di fotografia la linea tra lecito e illecito è molto sottile. Viviamo in un’epoca in cui tutto viene documentato ad una velocità impressionante e capita sovente di avere la sensazione di trovarsi all’interno di un Truman Show. Devono essersi sentiti così i vicini di casa di Arne Svenson che dalla finestra del suo appartamento sito in Watt Strett a Manhattan, New York, ha immortalato alcuni attimi della loro vita quotidiana. L’obiettivo della macchina fotografica dell’artista ha varcato silenziosamente la soglia delle loro finestre al fine di creare scatti rubati utilizzati per comporre una mostra, intitolata appunto “The Neighbors“: i vicini.

Un ragazzo che riposa sul divano, una donna chinata mentre pulisce il pavimento, un cane intento a guardare fuori dalla “sua” abitazione. Svenson ha studiato per giorni le abitudini del vicinato e solo in un secondo momento ha selezionato le migliori fotografie, attualmente in esposizione presso la Julie Saul Gallery nel quartiere di Chelsea dove vengono vendute a 7.500 dollari l’una. In poco tempo la mostra ha però sollevato un polverone polemico proprio nel momento in cui gli ignari (fino a quel momento) vicini ne sono venuti a conoscenza.

A scatenare la rabbia dei soggetti immortalati nelle fotografie la presunta violazione della privacy, in particolare quella dei bambini ritratti da Svenson. Presunta, sì, perché dal punto di vista penale l’artista non rischia nulla in quanto i visi (non soltanto dei bambini) non vengono in alcun modo mostrati. Un’accortezza che fortifica il lavoro di Svenson il quale ha dichiarato di non voler chiudere anzitempo la mostra. «Per i miei soggetti non c’è privacy – ha commentato il fotografo -: io sono come gli osservatori di uccelli, che aspettano ore per poter cogliere un segno di vita. Queste persone recitano sul palcoscenico che hanno scelto, lasciando aperte le tende».

Un pensiero del tutto opinabile che però lo rende immune da qualsiasi azione legale nei suoi confronti. Qualora lo vorranno le vittime degli scatti rubati dall’artista potranno avviare una causa civile ma sin da ora farebbero bene quantomeno a tirare le tende, per preservare quel minimo di diritto alla privacy che ancora gli è rimasto.

Gabriele Rossetti

Retrospettiva: i capolavori in bianco e nero di Elliott Erwitt a Torino

Elliot Erwitt - Magnum PhotosIn contemporanea con la mostra che celebra il centenario della nascita di Robert Capa, la città di Torino ospita un’altra retrospettiva, dedicata a Elliott Erwitt: un maestro della fotografia, anch’egli facente parte dell’agenzia Magnum Photos. Anche questa mostra è organizzata dalla casa editrice d’arte Silvana Editoriale sempre in collaborazione con la celebre agenzia fotografica e verrà ospitata nella Corte Medievale di Palazzo Madama a Torino.  A partire dal 17 aprile e sino al 1 settembre 2013 sarà possibile ammirare i capolavori che hanno consacrato l’estro di Elliott Erwitt, celebre per i suoi scatti in bianco e nero. L’esposizione comprende una selezione di 136 fotografie suddivise in tre sezioni, ciascuna delle quali è basata su uno specifico tema selezionato all’interno del vasto repertorio dell’artista. Bambini, animali domestici, personaggi famosi, scatti pubblicitari e scorci di città fanno della mostra una delle più ricche mai dedicate al fotografo, oggi 84enne.

Erwitt nasce a Parigi nel 1928 da genitori russi di origine ebraica e trascorre l’infanzia a Milano prima di emigrare con la famiglia negli Stati Uniti dove comincia a coltivare l’interesse per la fotografia e decide di modificare il suo vero nome – Elio Romano Erwizt – americanizzandolo. Fondamentali per la sua carriera gli incontri con fotografi già affermati come Edward Steichen e Robert Capa, che nel 1953 lo invita a far parte della Magnum Photos. L’ingresso nell’agenzia fotografia rappresenta un trampolino di lancio per il futuro che lo porta a raggiungere la fama mondiale grazie al suo lavoro, incentrato per lo più sull’istintiva sensibilità nel “cogliere l’attimo“. «Si tratta di reagire a ciò che si vede, senza preconcetti – afferma Erwitt – si possono trovare immagini da fotografare ovunque, basta semplicemente notare le cose e la loro disposizione, interessarsi a ciò che ci circonda e occuparsi dell’umanità e della commedia umana».

Con distacco, realismo e un pizzico di humor, nel corso degli anni Elliott Erwitt ha saputo raccontare il genere umano in tutte le sue sfaccettature immortalando aspetti della vita anche insoliti, spesso “rubati” a soggetti inconsapevoli incontrati per strada. Questa peculiarità gli è valsa il riconoscimento di fotografo della commedia umana.

Gabriele Rossetti

(Foto: California, USA. 1955 © Elliott Erwitt / Magnum Photos)

Torino Jazz Festival, musica e non solo: oltre 130 eventi gratuiti

torino jazz festivalBissare il successo dello scorso anno che fece registrare oltre 100 mila presenze. Questo l’auspicio degli organizzatori del Torino Jazz Festival, la cui seconda edizione si terrà dal 26 aprile al 1 maggio. Sei giorni di appuntamenti rigorosamente gratuiti per oltre 130 eventi dedicati a tutto ciò che gravita attorno al genere musicale nato nelle comunità afroamericane all’inizio del XX secolo. Musica, letteratura, fotografia e cinema andranno a comporre il programma che si svolgerà nei luoghi simbolo di Torino attraverso percorsi tematici: piazza Castello e piazzale Valdo Fusi ospiteranno i concerti delle band, il Circolo dei Lettori sarà la casa degli incontri letterari, mentre al Museo di Scienze Naturali ed al Cinema Massimo sarà possibile assistere rispettivamente a mostre fotografiche e proiezioni cinematografiche.

Un’edizione completamente rinnovata rispetto a quella passata che riuscì a chiudere il bilancio in positivo nonostante un clima tutt’altro che primaverile; la pioggia battente di quei giorni non fermò l’affluenza di spettatori e curiosi e – come detto – la speranza è che si possa fare ancora meglio. Proprio in quest’ottica il nuovo direttore del festival, Stefano Zenni, ha lavorato per portare sotto la Mole nomi di livello internazionale: Mike Stern, John Coltrane, Abdullah Ibrahim, McCoy Tyner, Roy Haynes e Tania Maria. Ospite della kermesse anche il trombettista e compositore Enrico Rava, che si esibirà con l’Orchestra del Teatro Regio in uno spettacolo ispirato al libro “On the road” di Kerouac.

Un occhio di riguardo anche per la sezione Fringe del festival che andrà ad esplorare il panorama jazzistico contemporaneo. La sezione off della kermesse curata da Fulvio De Castri vedrà la partecipazione di oltre 160 artisti che si esibiranno “in notturna” tra i locali di piazza Vittorio Veneto ed i Murazzi, lungo il fiume Po.

Gabriele Rossetti

L’app che mostra gli effetti del fumo sulla pelle, voluta dal Ministero

Smoking Time MachineSensibilizzare i fumatori o quantomeno scoraggiarli, mostrando loro gli effetti che il fumo potrebbe avere sulla loro pelle tra vent’anni. L’iniziativa è del Ministero della Salute inglese ed è stata condotta attraverso lo sviluppo di un’applicazione per smartphone. Le istituzioni britanniche vogliono tentare un’altra strada diversa da quella finora intrapresa; le minacciose scritte sui pacchetti di sigarette e le terribili immagini delle conseguenze dovute dal fumo, diffuse sui più tradizionali media, sembrano infatti aver colpito solo in parte i più incalliti. Di conseguenza gli inglesi hanno pensato di provare a percorrere un nuovo sentiero sfruttando le potenzialità della tecnologia.

Smoking Time Machine, questo il nome dell’applicazione scaricabile gratuitamente attraverso Apple Store e Google Play, è ovviamente rivolta ai fumatori più giovani che oltre ad essere i più esposti a rischi futuri di salute sono anche quelli che possono vantare una maggior confidenza con i mezzi tecnologici di ultima generazione. Secondo uno studio effettuato dai ricercatori, infatti, il 40% dei fumatori ha cominciato molto presto, all’età di 16 anni. Inoltre Kate Norman, responsabile del progetto e membro della Cumbria Partnership NHS Trust, sostiene che i giovani spesso «non riescono a comprendere quelli che sono i rischi del fumo e non sanno che in futuro potrebbero venire colpiti da gravi malattie come il cancro ai polmoni».

Il funzionamento dell’applicazione è molto semplice; una volta scattata una fotografia del proprio viso l’immagine viene elaborata fino a mostrare una possibile proiezione di come lo stesso viso potrebbe apparire tra vent’anni, con tutte le conseguenze dovute all’effetto delle sostanze chimiche presenti nelle sigarette. Il risultato finale dovrebbe in qualche modo causare lo choc del fumatore ed incoraggiarlo a smettere; le rughe pronunciate intorno agli occhi e alla bocca e il colorito della pelle molto più pallido, infatti, non dipendono solamente dalla vecchiaia.

Gabriele Rossetti

Retrospettiva su Robert Capa in mostra a Palazzo Reale di Torino

BOB194404CW000X1/ICP154In occasione del centenario della nascita di Robert Capa, pseudonimo di Endre Erno Friedmann, la città di Torino celebra uno dei maestri della fotografia dedicandogli una retrospettiva. La mostra, patrocinata dal Comune e organizzata dalla casa editrice d’arte Silvana Editoriale in collaborazione con Magnum Photos (celebre agenzia fotografica di cui Capa fu uno dei soci fondatori nel 1947), verrà allestita nelle suggestive sale di Palazzo Reale. Dal 15 marzo e fino al 14 luglio 2013 sarà possibile ammirare novantasette fotografie raggruppate in undici sezioni e allineate lungo due corridoi al primo piano del Palazzo.

«La migliore mostra di Robert Capa che io abbia mai visto» secondo John Morris, primo direttore della Magnum Photos e grande amico di Capa. Le immagini esposte a Palazzo Reale, molte delle quali divenute vere e proprie icone del Novecento, testimoniano il percorso umano e artistico del celebre fotografo ungherese, definito dalla rivista Picture Post (nel 1938) come “il migliore fotoreporter di guerra nel mondo”. E proprio le foto dei conflitti bellici ai quali prese parte Capa – indimenticabili quelle della guerra civile spagnola e dello sbarco in  Normandia il 6 giugno 1944 – costituiscono la parte centrale dell’esposizione, anche se non mancano scatti più semplici di vita quotidiana e i ritratti di personaggi illustri quali Picasso ed Hemingway. Grazie ad un coraggio fuori dal comune ed un talento innato, con i suoi reportage fotografici Capa ha saputo fissare testimonianze dirette e trasmettere tutta la sensibilità di un uomo che, da rifugiato politico, si è spesso trovato costretto a lottare contro il dolore e la sofferenza.

Robert Capa fu tra i primi a capire l’importanza del mezzo fotografico, una sorta di “terzo occhio rivelatore” da utilizzare principalmente come arma di denuncia. Un amore viscerale per la fotografia tanto da costargli la vita nel corso della prima guerra d’Indocina (1954), quando venne ucciso da una mina antiuomo mentre si trovava al seguito delle truppe francesi.

Gabriele Rossetti