Schianto fatale, muore carbonizzato Sean Edwards. Interpretò suo padre nel film “Rush”

sean edwardsÈ rimasto intrappolato tra le lamiere di una Porsche 996 dopo uno schianto terribile che ha reso vano ogni tentativo di soccorso. Il pilota britannico Sean Edwards ha perso la vita a soli 26 anni, morto carbonizzato in seguito ad un incidente d’auto sul circuito australiano Queensland Raceway a Willowbank, nei pressi di Brisbane. Leader del campionato Porsche Supercup, Edwards è deceduto durante un corso di formazione mentre faceva da istruttore ad un ragazzo di 20 anni (gravissime le sue condizioni) che ha perso il controllo dell’auto andando a sbattere contro un muro di pneumatici.

Un destino beffardo quello che ha colpito il talentuoso automobilista inglese, figlio dell’ex pilota di Formula 1 Guy Edwards. Un destino fatto di intrecci pericolosi e cupe coincidenze dal momento che il padre fu uno dei primi a soccorrere Niki Lauda il primo agosto 1976, quando si gettò nel fuoco per estrarre il collega dalla Ferrari in fiamme dopo l’incidente avvenuto al Nürburgring in Germania. Seppur riportando gravi ustioni, quel giorno Niki Lauda se la cavò grazie anche al coraggio di Guy Edwards.

Un episodio che ha segnato la storia dei motori e più in generale di tutto lo sport, recentemente raccontato in maniera egregia dal regista Ron Howard nel film Rush. La pellicola – attualmente nelle sale – è basata sulla rivalità tra Niki Lauda e James Hunt e la narrazione non poteva prescindere da quell’incidente, la cui scena riprodotta al cinema vede tra i protagonisti proprio Sean Edwards nei panni di suo padre (oggi 70enne).

La finzione ha però presto lasciato il posto ad una realtà ben diversa per Sean, talento puro dell’automobilismo, nel cui palmares sono presenti la vittoria di un campionato europeo GT3 nel 2006 e, quest’anno, della 24 Ore di Dubai e della 24 Ore del Nürburgring.

Gabriele Rossetti

Björk, Sigur Rós e gli altri artisti della scena musicale islandese in mostra alla Ono Arte di Bologna

bjork mostra bolognaTerra del ghiaccio, terra isolata, terra desolata; terra che sprigiona arte a 360 gradi, in ogni sua forma. Sarà anche il paese europeo meno popolato ma l’Islanda è sicuramente una fucina di talenti, principalmente in campo musicale. E proprio alla scena musicale islandese è dedicata l’esposizione della Ono Arte Contemporanea di Bologna che dal 27 giugno al 19 settembre 2013 propone 50 fotografie e una serie di proiezioni di videoclip. Protagonisti della mostra sono i maggiori interpreti musicali del Paese a cominciare dalla piccola grande Björk, artista a tutto tondo e vera icona nazionale. Non a caso la musicista, compositrice, cantante, attrice e modella è citata nel titolo della mostra – Björk. Violently Happy in Iceland – composta dagli scatti, inediti per l’Italia, di Hörður Sveinsson, Renaud Monfourny e Photosythesis i quali hanno immortalato il meglio della creatività islandese a livello musicale. Band come Sigur Ròs, Mùm, Matmos e Of Monsters and Men, sono infatti ormai conosciute anche oltreconfine.

Il movimento musicale islandese deve – inevitabilmente – il suo successo a quello dell’artista di maggior spicco. Nata e cresciuta a Reykjavík, Björk incide il suo primo album all’età di dodici anni e non si fermerà più, facendo della sperimentazione uno dei suoi punti di forza. La carriera decolla grazie all’interesse riscosso con i Sugarcubes, band dalla quale Björk si separa nel 1992 per iniziare a camminare da sola. La passione per le sonorità elettroniche la portano a trasferirsi a Londra, città dalla quale spiccherà letteralmente il volo affermandosi sulla scena internazionale. Björk si dimostra artista poliedrica e nel 2000 trova la consacrazione anche al cinema al fianco di Lars Von Trier che la vuole come protagonista di Dancer in the dark, film vincitore della Palma d’oro al Festival di Cannes per il quale cura anche la colonna sonora.

Le indiscusse qualità portano Björk ad instaurare rapporti e numerose collaborazioni con altri artisti che in qualche modo la aiutano anche a sviluppare un discreto fiuto nella ricerca di nuovi talenti da lanciare sul mercato. È il caso dei Sigur Rós, scoperti proprio da Björk con cui condividono non soltanto la terra d’origine ma anche sonorità e cura maniacale dei dettagli. L’esposizione bolognese è dedicata alle loro carriere e, più in generale, all’espressione artistica dell’Islanda. Terra che sprigiona arte a 360 gradi.

Gabriele Rossetti

Martin Scorsese, mostra biografica al Museo del Cinema di Torino

scorseseRegista, attore, sceneggiatore, produttore cinematografico. Questo e molto altro rappresentano al meglio la figura di Martin Scorsese, uno dei maestri della settima arte, autore di grandi capolavori capaci di mettere d’accordo critica e pubblico. La biografia del cineasta americano, di origini italiane, è protagonista della mostra a lui dedicata che dopo essere stata esposta a Berlino approda nelle sale del Museo Nazionale del Cinema di Torino. Dal 13 giugno e fino al 15 settembre 2013 la Mole Antonelliana ospita veri e propri feticci appartenenti al mondo di Scorsese che gravitano – e non potrebbe essere altrimenti – attorno alla sua principale passione, divenuta lavoro. La passione incondizionata per il cinema che nel 1990 lo ha portato a fondare la Film Foundation, organizzazione non-profit impegnata nel restauro e nella conservazione di pellicole storiche che nel corso degli anni hanno subito danneggiamenti.

Co-prodotta dalla Deutsche Kinemathek e dal Museo Nazionale del Cinema, la mostra ricostruisce la vita di Scorsese attraverso un ricco materiale inedito proveniente direttamente dagli archivi privati dell’artista. Fotografie, lettere private, bozzetti, manifesti, storyboard, frammenti di sceneggiature e oggetti di scena (tra cui i costumi di Gangs of New York, quelli da pugile utilizzati da Robert De Niro in Toro scatenato e il vestito rosso di Michelle Pfeiffer in L’età dell’innocenza), costituiscono la mostra il cui percorso parte dall’Aula del Tempio e si protrae lungo la scalinata che ruota attorno alla cupola della Mole Antonelliana.

Curatrici dell’allestimento torinese Nicoletta Pacini e Tamara Sillo il cui obiettivo è «mettere in evidenza il lavoro di Martin Scorsese, le figure, le location, l’estetica dei suoi film, la passione e la sua umanità di narratore». La mostra comincia già all’esterno dove sulla cancellata del museo campeggiano 14 gigantografie scattate da Brigitte Lacombe sui set di alcuni film, mentre all’interno è suddivisa in aree tematiche che raccontano il legame di Scorsese con la famiglia, la musica ma anche con l’America ed in particolare con New York, a cui è dedicata un’intera sezione. Ad accogliere il visitatore è proprio una mappa luminosa della Grande Mela sulla quale sono collocati tutti i set scelti dal regista per i suoi film.

Non potevano infine mancare i contenuti multimediali grazie ai quali in ogni sezione è possibile vedere e ascoltare, tramite una guida su iPad, la descrizione ed il commento in lingua originale dello stesso Scorsese di 20 opere presenti nella mostra.

Gabriele Rossetti

“Happy Birthday” è di tutti, class action contro la Warner per i diritti

happy birthdayÈ senza ombra di dubbio la canzone più eseguita al mondo. Non vi è infatti luogo nel quale, ogni giorno, non risuonino le sue note per festeggiare la ricorrenza di un compleanno. “Ricavata” da un motivetto (Good Morning To All) composto nel 1893 dalle sorelle statunitensi Mildred J. Hill e Patty Smith Hill e tradotta in 18 lingue, la celeberrima Happy Birthday To You si trova oggi, come riporta il New York Times, al centro di un contenzioso legale. La questione è ovviamente legata ai soldi e ruota intorno ai diritti d’autore, detenuti dalla casa discografica Warner/Chappell che, dal canto suo, applica dei costi esorbitanti alla concessione della licenza per l’utilizzo nei luoghi pubblici.

Ad intentare la battaglia legale è stata la Goodmorning To You Productions, società di produzione cinematografica che stava girando un film-documentario proprio sulla celebre canzone. La regista della pellicola, Jennifer Nelson, avrebbe voluto far eseguire la canzone all’interno di una scena ma per il suo utilizzo avrebbe dovuto sborsare 1.500 dollari e stipulare un contratto con la Warner/Chappell. Una volta pagata la somma la casa di produzione ha però deciso di adire per vie legali, ritenendo il motivetto di dominio pubblico. «Non ho mai pensato che la canzone fosse di proprietà di nessuno – il commento stupito della regista -. Ho pensato che fosse di tutti».

La Goodmorning To You Productions sostiene che la canzone dovrebbe appartenere a tutti e così ha chiesto al Tribunale federale di Manhattan che venga riconosciuto lo stato di class action e che la Warner/Chappell (ramo editoriale della Warner Music Group) restituisca 5 milioni di dollari; una cifra “simbolica” per tutte le tasse versate negli ultimi quattro anni da cantanti e gruppi per poterla suonare in pubblico. Secondo le stime, ogni anno la Warner/Chappell guadagnerebbe 2 milioni di dollari per i diritti della canzone. Dalla casa discografica non hanno voluto commentare ma hanno fatto sapere di aver acquisito, nel 1988, una piccola società musicale (la Birchtree Ltd.) che tra i suoi archivi possedeva anche il copyright di Happy Birthday To You.

Avvocati e studiosi di diritto si sono pronunciati sul caso sostenendo che il copyright della Warner/Chappell potrebbe in realtà non essere più valido e addirittura non appartenere alla canzone stessa, paventando quindi anche l’ipotesi di frode.

Gabriele Rossetti

Edward Lachman, 30 scatti inediti in mostra alla Ono Arte di Bologna

edward lachmanTrenta scatti inediti in Italia per ripercorrere un’intera carriera. Quella di Edward Lachman, 65 anni, uno dei maggiori direttori della fotografia americani. In occasione del Biografilm Festival di Bologna di cui è presidente di giuria, la galleria Ono Arte Contemporanea del capoluogo emiliano gli dedica una mostra fotografica esponendo parte del lavoro che lo ha consacrato nel mondo del cinema. Edward Lachman: Exposure Checks è il titolo dell’esposizione, in programma dal 12 al 27 giugno 2013, interamente composta da fotografie di scena scattate sui set dei film.

Membro della American Society of Cinematographers, Lachman ha infatti curato la fotografia di numerosi film di produzione statunitense. E poco importava che fossero pellicole indipendenti o blockbuster. Collaboratore di Todd Haynes per Lontano dal Paradiso (grazie al quale ha ricevuto una candidatura all’Oscar) e Io non sono qui, di Steven Soderbergh per Erin Brockovich, di Todd Solondz per Perdona e Dimentica e dell’ultimo lavoro di Robert AltmanRadio America, Lachman ha anche collaborato con Sophia Coppola ne Il giardino delle vergini suicide. Inoltre ha preso parte alla realizzazione di documentari diretti da due maestri del cinema come Wim Wenders e Werner Herzog ed ha co-diretto insieme a Larry Clark il film Ken Park, pellicola presentata al Festival di Cannes nel 2002 che fece molto discutere per i suoi contenuti borderline.

Appassionato anche di musica Edward Lachman ha lavorato al fianco di Madonna, Blondie, Lou Reed e, più recentemente, dei Daft Punk, per i quali ha realizzato alcuni video dell’ultimo album Random Access Memories.

Negli stessi giorni della mostra presso la galleria Ono Arte, anche il Biografilm Festival dedica al suo presidente di giuria una retrospettiva dal titolo The Camera and Eye, nella quale verrà presentata anche la trilogia Paradise (Love, Faith, Hope) del regista Ulrich Seidl, per la quale Lachman ha curato – neanche a dirlo – la fotografia.

Gabriele Rossetti

Lo Stato della follia, il film che racconta le verità nascoste sugli Ospedali Psichiatrici Giudiziari

locandinaNel nostro Paese sono tanti i luoghi di cui lo Stato ha dimenticato la loro esistenza. Tra questi figurano gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, meglio conosciuti come OPG o, più comunemente, come manicomi criminali. Strutture fatiscenti, vere e proprie carceri all’interno delle quali le persone recluse vengono private di ogni diritto costituzionale: diritto alla salute, alla cura, alla vita. Sono circa 1.500 i malati mentali internati nei sei OPG italiani, rimasti estranei alla Legge Basaglia del 1978 che prevedeva la chiusura degli ospedali psichiatrici e per questo da molti definiti incostituzionali.

Quello delle malattie mentali è un argomento delicato, spesso poco conosciuto e di conseguenza quasi mai affrontato nella maniera corretta. Un argomento che sovente ha catturato l’attenzione del mondo cinematografico, ispirando il lavoro di parecchi registi. Milos Forman in Qualcuno volò sul nido del cuculo, Mark Robson in Bedlam (Manicomio), Terry Gilliam ne L’esercito delle 12 scimmie, ma anche il nostro Pupi Avati ne Il papà di Giovanna o Giulio Manfredonia in Si può fare. Solo una piccola parte di un elenco che in realtà sarebbe decisamente più lungo. Tra questi nomi va inserito anche quello di Francesco Cordio, videomaker indipendente che nel 2010 ha realizzato un documentario sugli OPG per conto della Commissione d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio Sanitario Nazionale, presieduta dal neo sindaco di Roma Ignazio Marino.

Il documentario si intitola Lo Stato della follia ed è stato premiato lo scorso marzo al Bif&st di Bari dove ha ottenuto una Menzione Speciale.

Per avere con coraggio documentato la condizione disperata in cui versano gli ultimi OPG italiani, comunemente chiamati manicomi criminali. Uno spietato atto d’accusa e un invito a non dimenticare chi, spesso senza alcuna colpa, per troppo tempo è stato ferito, umiliato e abbandonato

Il film è stato finora proiettato a Roma alla Casa del Cinema, in occasione della terza edizione del Filmfestival “Lo Spiraglio” e al Nuovo Cinema Aquilaall’interno dell’evento Contest – Il documentario in sala. Una terza proiezione è invece prevista venerdì 14 giugno a Firenze presso l’ex ospedale psichiatrico San Salvi. La speranza è che non sia l’ultima, anche se difficilmente verrà distribuito nelle più comuni sale cinematografiche.

Protagonista della pellicola Luigi Rigoni, attore ed ex detenuto che racconta la propria infernale esperienza vissuta in un ospedale psichiatrico. Una testimonianza diretta di chi ha vissuto sulla propria pelle il degrado, l’abbandono e la crudezza di certi luoghi, capaci di togliere ogni cosa una volta varcata la loro soglia.

Gabriele Rossetti

Record Store Day, la giornata internazionale dei negozi di dischi

Record Store Day 2013Come ogni anno, dal 2007 in avanti, il terzo sabato del mese di aprile si celebra in tutto il mondo il Record Store Day. La giornata internazionale dedicata alla musica ma più in particolare ai negozi di dischi e al loro valore culturale e sociale. Un valore che – a malincuore – si sta pian piano perdendo vuoi per l’elevato costo degli album imposto dalle case discografiche che hanno allontanato sempre più gli appassionati dai negozi, vuoi per il boom della fruizione di musica digitale che di fatto ha contribuito alla cessazione dell’attività di innumerevoli esercizi commerciali. Tralasciando l’aspetto della digitalizzazione non si può negare il fascino del supporto fisico di cd e vinili che è sempre stato e sempre rimarrà immutabile.

L’Italia non poteva certo esimersi dal festeggiare una giornata tanto importante per la musica e quest’anno sono in programma eventi e manifestazioni nelle città più importanti, storicamente molto attive a livello musicale. A Milano, Roma, Bologna, Torino, Napoli e Firenze sarà infatti possibile partecipare e assistere alle performance di alcuni artisti ma anche a mostre d’arte e proiezioni di film che avranno come tema principale i negozi di dischi. Per l’occasione, nei negozi che aderiscono all’iniziativa si potranno acquistare cd e vinili in edizione limitata e altri prodotti promozionali e pubblicazioni inedite creati appositamente per l’evento e per il mercato dei collezionisti. Per la prima volta nel nostro Paese verrà inoltre proiettato nelle città sopra elencate il film ufficiale della rassegna: “Last Shop Standing – The Rise, Fall and Rebirth of the Independent Record Shop” diretto da Pip Piper ed ispirato dal libro omonimo di Graham Jones che ripercorre l’ascesa dei negozi musicali indipendenti a partire dagli anni ’60.

L’ambasciatore internazionale di questa edizione sarà il frontman dei White Stripes Jack White che per l’occasione darà alle stampe una nuova edizione dell’album “Elephant” in vinile, ma sono tanti gli artisti che hanno deciso di realizzare materiale inedito per la rassegna: Bob Dylan, David Bowie, Pink Floyd, Cure, Rolling Stones, King Crimson, Sigur Ros, Moby, Mark Lanegan, XX e il gruppo indie folk Mumford & Sons che sta spopolando anche da noi.

Nato negli Stati Uniti il Record Store Day si è subito diffuso in tutto il mondo con il solo scopo di difendere e tutelare la vendita di musica fissata su supporti fisici riconoscendo l’importanza dei negozi di dischi indipendenti, veri e proprio luoghi di culto. Luoghi che stanno scomparendo ma che nel corso degli anni hanno svolto un ruolo fondamentale nel sociale, divenendo simbolo di aggregazione e condivisione tra le persone.

Sì, sì, lo so, è più facile scaricare musica e probabilmente costa anche di meno. Ma cosa suona nel vostro download store quando ci entrate? Niente, ecco. E chi incontrerete? Nessuno. Dove sono le pareti sulle quali trovare bigliettini in cui si offrono appartamenti da condividere e posti liberi in band destinate alla superstardom? Chi vi dirà di smettere di ascoltare quello e iniziare ad ascoltare quest’altro? Andate avanti e risparmiate un po’ di soldi per voi stessi. Quei risparmi vi costeranno una carriera, un set di amici fichi, un gusto musicale e, alla fine, la vostra anima. I negozi di dischi non vi salveranno la vita. Ma ve la renderanno migliore. [Nick Hornby – Alta Fedeltà]

Gabriele Rossetti

Louxor, il cinema più antico di Parigi riapre dopo 25 anni di abbandono

LE LOUXORDopo venticinque anni di abbandono Parigi, capitale del cinema, si riconcilia con uno dei simboli del suo ricco patrimonio artistico e culturale. Stiamo parlando del Cinema Louxor, gioiello architettonico dell’Art déco, costruito nei primi anni ’20 in stile neo-egizio, che torna a (ri)vivere dopo un restauro che lo ha riportato al suo antico splendore. La sala cinematografica più vecchia della capitale francese, situata nel quartiere multietnico di Barbes, ai piedi della collina di Montmartre, nel 1982 aveva cessato la sua originaria funzione ed era stata trasformata in un locale notturno prima di venire chiusa definitivamente – e abbandonata al proprio destino – cinque anni dopo.

Dopo averne acquisito la proprietà da un privato, nel 2010 il Comune ha dato il via ai lavori per garantire la resurrezione del Louxor. Lavori costati complessivamente 25 milioni di euro e terminati in tempo per l’inaugurazione del cinema che oggi, alla presenza del sindaco di Parigi Bertrand Delanoe, riapre al pubblico con tre sale simili a quelle originali, un bar e una terrazza con vista sulla Basilica del Sacro Cuore. Rispetto ai cinema di ultima generazione il Louxor sarà però un multisala sui generis con un programma di carta all’antica, senza alcuna pubblicità prima della proiezione dei film e soprattutto senza la vendita di pop-corn.

Il restauro del Louxor è solo un primo passo effettuato dalla città di Parigi che per rilanciare lo sviluppo economico attraverso le sue bellezze artistiche sta pensando di riportare in vita altre quattordici sale cinematografiche d’antan le quali, come scrive Le Figaro, verranno rimesse a nuovo entro il prossimo anno.

Restituire ai cittadini uno spazio leggendario come il Cinema Louxor equivale non soltanto a migliorare l’immagine del quartiere ma anche ad arricchire notevolmente l’offerta culturale di Parigi.

Gabriele Rossetti

“Da Sodoma a Hollywood”: al via il 28° Torino GLBT Film Festival

torino glbt film festivalCortometraggi, lungometraggi e documentari: 120 pellicole in rappresentanza di 34 nazioni, la maggior parte delle quali incentrate sul tema del corpo e sulla difficoltà di amarsi e costruire relazioni gay. Sulla base di questi contenuti prende il via la ventottesima edizione del Torino GLBT Film Festival, la rassegna cinematografica più longeva d’Europa che dal 1986 dà spazio alle tematiche di gay, lesbiche, bisessuali e trasgender. Come ogni anno la volontà degli organizzatori è di proporre al pubblico film di grande attualità che difficilmente troverebbero spazio altrove, col serio rischio di rimanere “invisibili“. In programma dal 19 al 25 aprile presso il Cinema Massimo di Torino, la rassegna è suddivisa in tre sezioni ognuna delle quali sottoposta al giudizio di una giuria internazionale. Per ogni categoria in concorso (cortometraggi, lungometraggi e documentari) è inoltre previsto un Premio assegnato direttamente dal pubblico.

Il Festival diretto da Giovanni Minerba e organizzato in collaborazione con il Museo Nazionale del Cinema propone sia opere drammatiche sia commedie e, come ogni rassegna dedicata alla settima arte che si rispetti, prevede in cartellone anche la proiezione di film fuori concorso. Ad aprire la rassegna “Any Day Now” di Travis Fine, film ambientato alla fine degli anni ’70 e tratto da una storia vera che racconta la vita di una drag queen di Los Angeles che, insieme al suo partner, cerca di ottenere la custodia di un ragazzo down quattordicenne. Il compito di chiudere il Festival è invece affidato ad una commedia brillante di Gary Entin, “Geography Club“,  che esplora il mondo degli adolescenti di oggi, dalla conquista di sé al coming out e dal bullismo all’omofobia. E proprio il tema del bullismo sarà nuovamente protagonista del Festival il 20 aprile, quando nel mondo si celebrerà la Giornata del silenzio. Un modo simbolico per affrontare una problematica sempre più frequente nella nostra società.

Per il quarto anno consecutivo verrà inoltre assegnato il Premio “Dorian Gray”, attribuito ad una personalità appartenente al mondo del cinema, dello spettacolo o della cultura che si sia distinta e abbia dato il suo contributo alla causa per i diritti delle persone GLBT. Dopo James Ivory, Lindsay Kemp e Luciana Littizzetto, il riconoscimento andrà all’attrice e cantante tedesca Ingrid Caven, nota per essere stata musa e moglie di Rainer Werner Fassbinder.

L’edizione 2013 del Torino GLBT Film Festival avrà una sezione dedicata ai giovani e una al vintage ed introdurrà uno strumento innovativo che consentirà di andare a scovare le opere del passato che hanno partecipato alle ultime cinque edizioni. Circa 3000 pellicole sono state infatti catalogate e sono disponibili in un grande archivio online denominato GLBT Movie Database, attraverso il quale è possibile visionare le schede dei film e delle persone che hanno preso parte al Festival.

Gabriele Rossetti

“Caro Federico”, l’omaggio teatrale di New York al maestro Fellini

federico felliniUn viaggio attraverso la vita privata e il lavoro di uno dei più straordinari maestri del cinema italiano e non solo. Si presenta così “Caro Federico“, l’omaggio che New York ha voluto tributare a Federico Fellini mettendo in scena una piece teatrale per ripercorrere le strade del grande regista riminese, conosciuto in tutto il mondo per le doti dietro la macchina da presa e per la scrittura delle sceneggiature dalle quali sono nati film memorabili.

L’autore di “8½”, “La dolce vita” e “Amarcord” – giusto per citarne alcuni – è stato ricordato sul palcoscenico del Pershing Square Signature Center di New York attraverso un collage di immagini, ricostruzioni, filmati, spezzoni originali dei suoi film e testimonianze dirette dell’epoca di chi ha avuto la fortuna di conoscerlo da vicino: dalla moglie Giulietta Masina ad Alberto Sordi, da Anna Magnani a Marcello Mastroianni. Ad impreziosire il racconto del percorso artistico del quattro volte premio Oscar, le voci narranti di due grandi attori quali Edward Norton e Diane Lane, la quale in un’intervista ha detto che Fellini «è come l’infinito».

L’opera teatrale porta la firma di Guido Torlonia e Ludovica Damiani e rientra in un progetto più ampio denominato “A tribute to the great masters” che lo scorso anno ha messo in scena un evento simile dedicato a Luchino Visconti. L’evento è stato invece organizzato dall’associazione no profit Venezian Heritage presieduta da Isabella Rossellini e dalla Fondazione Fendi, con lo scopo di raccogliere fondi per il restauro delle sculture di Adamo ed Eva nel Palazzo del Doge a Venezia. L’associazione fa infatti parte di un programma dell’Unesco per la Salvaguardia di Venezia ed ha come obiettivo la promozione e il sostegno di iniziative intellettuali, artistiche e scambi culturali tra l’Italia e gli Stati Uniti.

Gabriele Rossetti

Movie on the Road, la mappa del cinema con i film girati a Torino

movie on the roadPiazza CLN in “Profondo rosso” di Dario Argento, la Gran Madre nel film di Michael Caine “An Italian Job”, la Galleria Umberto Primo scelta da Gianni Amelio in “Così ridevano” e ancora il mercato del Balôn e Borgo Dora in “La donna della domenica di Luigi Comencini. Sono solo alcune delle locations che hanno fatto conoscere al grande pubblico i luoghi più belli di Torino attraverso il cinema. Il legame tra il capoluogo sabaudo e la settima arte è sempre stato solido ma per coinvolgere maggiormente turisti e semplici cittadini alla scoperta delle bellezze di Torino immortalate dai registi sul grande schermo, l’Associazione Museo Nazionale del Cinema ha ideato il progetto “Movie on the Road – 24 location cinematografiche in giro per Torino“.

Grazie al contributo di Regione Piemonte e Fondazione CRT, con il patrocinio del Comune e la collaborazione del Museo Nazionale del Cinema e di Film Commission Torino Piemonte, il progetto consiste nella realizzazione di due mappe: una cartacea, disponibile presso il Museo del cinema e nei punti informativi della città, l’altra digitale scaricabile dal sito movieontheroad.com. Sulle cartine sono stati segnalati 24 luoghi di Torino che hanno ospitato altrettanti set cinematografici. In realtà i film girati sotto la Mole sarebbero molti di più ma la decisione è stata circoscritta a 24, che non a caso rimanda alla frequenza dei fotogrammi al secondo che compongono un’immagine cinematografica. Ciascuna location è stata selezionata con cura e criterio, associata ad un film e accompagnata da una breve scheda biofilmografica – correlata di foto – del lungometraggio e dell’attore principale dello stesso.

Le varie locations sono state suddivise e raggruppate in un percorso guidato che accompagna gli appassionati e i più curiosi attraverso le strade della città. Quattro itinerari che vanno dal centro alla collina e dalla zona ovest del centro al quartiere di Porta Palazzo attraverso i quali è anche possibile osservare il cambiamento di Torino nel corso degli anni. Sulle cartine sono inoltre presenti le schede e i riferimenti logistici di sei luoghi simbolo del cinema a Torino come la Mole Antonelliana (sede del Museo Nazionale del Cinema), Palazzo Chiablese (prima sede del museo), l’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza, il Cinema Romano (primo cinema d’essai italiano), il Cineporto (sede della Film Commission) e gli studi Fert (storico stabilimento cinematografico di inizio novecento e ora sede del “Virtual Reality & Multimedia Park” e dei “Lumiq Studios”).

Il progetto è stato studiato e pensato come una sorta di cineturismo atto a promuovere il ricco patrimonio cinematografico di Torino. Negli Stati Uniti così come a Londra o Berlino il turismo cinematografico è molto diffuso e riscuote successo non soltanto in termini culturali ma anche economici. È quanto si augura di raggiungere anche Torino, città sempre più a misura di turista che da oggi offre un’opportunità in più anche ai cinefili.

Gabriele Rossetti

Down for the count: la morte nei film di Quentin Tarantino

infografica tarantino

Che rapporto c’è tra il cinema di Quentin Tarantino e la morte? Non bisogna essere per forza appassionati del regista statunitense, fresco vincitore del secondo premio Oscar in carriera per la migliore sceneggiatura originale di Django Unchained (a diciotto anni di distanza dalla prima statuetta, vinta, sempre nella stessa categoria, per Pulp Fiction), o dei suoi lavori per rendersi conto di quanto l’uccisione giochi un ruolo fondamentale all’interno dei suoi film. Re del genere splatter, non esiste pellicola nella quale Tarantino non proponga allo spettatore l’uccisione di almeno uno dei suoi personaggi.

Già, ma quanti attori ha fatto “morire” il buon Quentin nei suoi film? A fornire la risposta ci ha pensato l’edizione americana di Vanity Fair che non solo ha contato una per una le vittime delle otto pellicole scritte e prodotte da Tarantino, ma ne ha anche realizzato una infografica davvero interessante grazie alla quale è possibile riepilogare, film per film, tutte le morti e ciò da cui sono state causate. Ebbene la crudeltà del cineasta del Tennessee è costata la vita addirittura a 560 attori, le cui uccisioni sono avvenute nei modi più disparati; dai “banali” – a livello cinematografico, si intende – colpi di pistola a quelli di accetta e katana, senza tralasciare esplosioni, incendi (memorabile il finale di Inglourious Basterds), strangolamenti e scalpi. Nel dettaglio dell’infografica sono riportate tutte le tecniche e le modalità che hanno portato alla morte i personaggi tarantiniani.

dettaglio infografica

L’analisi, suddivisa  per pellicole in rigoroso ordine cronologico, mette in risalto le tecniche di uccisione preferite da Tarantino e lasciano spazio a curiosità e perplessità. Eccezion fatta per il povero Maynard in Pulp Fiction, trafitto da Butch (personaggio interpretato da Bruce Willis) con una katana, la morte nei primi tre film di Tarantino avviene solamente a seguito di conflitti a fuoco. Il fortunato esordio del regista nel mondo del cinema coincide con le undici vittime in Reservoir Dogs – Le Iene, al quale seguono i sette morti in Pulp Fiction e i quattro decessi in Jackie Brown.

Numeri destinati a crescere – in maniera esponenziale – nei seguenti capolavori di Tarantino, a cominciare dal volume I di Kill Bill nel quale, per mano della spietata Beatrix Kiddo (Uma Thurman) muoiono complessivamente 62 personaggi. Come non ricordare la mattanza presso la Casa delle Foglie Blu dove viene sterminato l’esercito di O-Ren, gli 88 folli. Solamente tredici le morti nel secondo volume di Kill Bill, tra cui spicca la fine più attesa e vendicativa: quella di Bill, avvenuta mediante la tecnica dellesplosione del cuore con cinque colpi delle dita, metodo insegnato a Beatrix da Pai Mei. Lo spettatore più attento ricorda che nel film viene narrata anche la morte del grande maestro di arti marziali (ucciso dalla rivale di Beatrix, Elle Driver), avvenuta per avvelenamento delle teste di pesce, la zuppa preferita dal maestro. Un episodio, questo, che evidentemente deve essere sfuggito agli autori dell’infografica di Vanity Fair.

Dall’enorme successo di Kill Bill, considerata da Tarantino un’opera unica, seppur divisa in due parti, si passa al flop (di botteghini e critica) di Grindhouse – Death Proof. La morte è già citata nel titolo del film ma la curiosità più evidente è che il primo road movie del regista è anche l’unico nel quale nemmeno una delle sei vittime viene uccisa con colpi di pistola. Nella prima parte del film l’auto di Stuntman Mike (Kurt Russell) causa terribili incidenti stradali che portano alla morte di cinque ragazze. La misoginia del protagonista verrà però vendicata da altre quattro donne che nella seconda parte del film costringono Mike ad arrendersi, prima di finirlo al termine di un duello corpo a corpo.

Le sei vittime di Grindhouse sono nulla in confronto allo sterminio di nazisti portato sul grande schermo da Tarantino con Inglourious Basterds, pellicola nella quale il regista dà sfogo a tutta la propria perversione, uccidendo 396 persone. La vendetta ebrea è inscenata non soltanto dagli uomini del tenente Aldo Reine (Brad Pitt) – i cosiddetti “Bastardi” -, ma anche dalla giovane Shosanna (Melanie Laurent) che rinchiude le più alte cariche naziste nel suo cinema, non prima di aver progettato un piano a dir poco diabolico.

Il bilancio delle uccisioni nei film di Tarantino si chiude, per il momento, con le sessantaquattro vittime in Django Unchained, ultima fatica cinematografica del regista che ha voluto rendere omaggio allo Spaghetti western, genere che prevede sparatorie in quantità e violente esplosioni. Una di queste è fatale allo stesso Tarantino il quale, dopo un conflitto a fuoco con la polizia ne Le Iene, torna a lasciarsi morire in un suo film, rafforzando l’ipotesi che prevede la morte come elemento intrinseco e imprescindibile nello svolgimento di ogni sua storia.

Gabriele Rossetti