Jason Collins, il primo coming out nella storia dello sport americano

jason collins - sports illustrated«Sono un centro della NBA di 34 anni. Sono nero. E sono gay». Comincia così, senza troppi giri di parole, la lunga lettera scritta da Jason Collins e pubblicata sulle pagine di Sports Illustrated, uno dei settimanali più prestigiosi degli Stati Uniti. Una lettera intensa, una sorte di confessione al mondo intero che fa del giocatore di basket californiano il primo atleta ancora in attività nella storia dello sport americano ad aver dichiarato la propria omosessualità. «Non intendevo essere il primo atleta dichiaratamente gay di un torneo americano professionistico a squadre. Dal momento che lo sono, sono felice di parlarne».

Ha aspettato tanto Jason Collins ma a 34 anni e dopo 713 partite nella principale lega professionistica ha deciso che fosse giunta l’ora di abbattere un tabù e superare una barriera per molti insormontabile, specialmente nel mondo dello sport e della notorietà. Il centro dei Washington Wizard ha smesso di nascondersi e attraverso il settimanale racconta il bisogno di voler essere «vero, autentico e sincero», senza sentirsi diverso da nessun altro. Nel 2011 durante il lockout dei giocatori della NBA ha iniziato a confrontarsi con se stesso. La lunga sospensione del campionato lo ha portato a riflettere e a volersi liberare ma è solo dopo il recente attentato alla maratona di Boston, città nella quale ha giocato per otto mesi, fino allo scorso  febbraio, con i Boston Celtics, che dentro di lui è scattato qualcosa. «Le cose possono cambiare in un istante – scrive Jason nella lettera -, quindi perché non vivere veramente?».

«Ci vuole moltissima energia per custodire un così grande segreto. Ho sopportato anni di miseria e ho passato lunghi periodi a vivere in una bugia. Ero certo che il mio mondo sarebbe caduto a pezzi se qualcuno l’avesse saputo». Il timore di venire emarginato si è invece trasformato in solidarietà, non soltanto dall’ambiente che gravita intorno alla NBA ma dall’America intera che gli ha mostrato sostegno e vicinanza. A cominciare da Barack Obama e dalla moglie Michelle, orgogliosi di lui come lo è il suo collega e avversario Kobe Bryant che ha aggiunto: «Non nascondete chi siete per colpa dell’ignoranza degli altri».

Professionista esemplare, Jason Collins si prepara ad affrontare la tredicesima stagione in NBA e in qualunque squadra approderà non sarà difficile vedergli indossare ancora una volta la canottiera numero 98, in ricordo dell’anno in cui uno studente gay dell’Università del Wyoming venne rapito, torturato e frustato. Nella confessione autentica pubblicata da Sports Illustrated Jason – che ha disputato anche due finali NBA indossando la casacca dei New Jersey Nets – ripercorre le tappe della sua vita a cominciare dall’infanzia trascorsa con la famiglia nella periferia di Los Angeles e racconta il rapporto con il suo gemello Jarron, il secondo ad essere informato della sua omosessualità dopo la zia Teri che dentro di lei già sapeva. Dopo i famigliari e gli amici più stretti ora tutto il mondo è venuto a conoscenza del segreto che Jason portava dentro di sé e al quale seguiranno inevitabilmente conseguenze. «Mi è stato chiesto come reagiranno gli altri giocatori al mio coming out. La risposta è semplice: non ne ho idea. Sono un pragmatico. Spero il meglio, ma sono pronto anche al peggio». «Il basket professionistico è una famiglia – conclude Jason -. E praticamente ogni famiglia che conosco ha un fratello, una sorella o un cugino che è gay. Nella famiglia della NBA, io sono solo l’unico che ha fatto coming out».

Gabriele Rossetti

“Le Rêve” di Picasso venduto all’asta dopo un restauro provvidenziale

le reveAvere un immenso patrimonio artistico tra le mani e rischiare di rovinarlo per sempre, per colpa di una distrazione, proprio quando si era trovato un compratore disposto a sborsare una cifra esorbitante per averlo. Quanto successo ha dell’incredibile ma, volendo parafrasare il titolo di una commedia shakespeariana, tutto è bene quel che finisce bene. Protagonista della vicenda Steve Wynn, magnate americano titolare di un casinò a Las Vegas e possessore di uno dei quadri più famosi del Novecento: “Le Rêve” di Pablo Picasso.

Ebbene il signore in questione ha rischiato di veder sfumare un’offerta di acquisto da 135 milioni di dollari nel momento in cui ha inavvertitamente danneggiato con una gomitata il capolavoro mentre lo faceva ammirare ad alcuni amici. Un buco nella tela di circa 6 centimetri che avrebbe mandato chiunque nello sconforto più assoluto. Evidentemente non una persona che ha la possibilità di attingere a risorse economiche illimitate e che ha prontamente chiamato i migliori restauratori in circolazione per riparare il danno, causato da un disturbo alla retina che costringe il magnate ad una visione limitata. Costo dell’operazione: 90 mila dollari, ma risultato pressoché perfetto. Come se l’opera d’arte non avesse mai subito alcun danno.

Una volta effettuato il provvidenziale restauro Wynn ha messo nuovamente il quadro sul mercato, aumentandone addirittura la valutazione. Un’inflazione giustificata con il trascorrere del tempo e, soprattutto, per rientrare della spesa effettuata per riparare la tela. L’acquirente, Steven Cohen, un manager americano con un patrimonio stimato di 9 miliardi di dollari, non ha fatto una piega e si è aggiudicato il capolavoro, battuto all’asta di Londra (da Christie’s) per la cifra record di 155 milioni di dollari. La più alta mai pagata per un’opera di Picasso e la seconda più alta mai sborsata per un quadro in generale dopo “I giocatori di carte” di Paul Cezanne, venduto nel 2010 per 260 milioni dollari.

Dipinto ad olio su tela nel 1932, “Le Rêve” appartiene al periodo delle rappresentazioni distorte dell’artista spagnolo ed è un ritratto dell’amante 22enne del pittore, all’epoca cinquantenne.

Gabriele Rossetti